Nel 1965 la sua uscita nello spazio rappresentò una pietra miliare, ancora oggi tutti gli astronauti che si accingono a compiere delle attività extra-veicolari ricordano quell’impresa. Undicesimo cosmonauta sovietico, Alexei Leonov era considerato una leggenda dell’esplorazione spaziale.
Alexei Leonov è stato il primo essere umano nella storia a uscire da una navicella spaziale esponendosi al vuoto dello Spazio. Era il 18 marzo 1965: durante la missione Voskhod 2 nell’orbita terrestre, Leonov rimase collegato alla capsula, a 500 km da Terra, mediante un cavo di sicurezza per circa 12 minuti e 9 secondi. Ma al momento di rientrare qualcosa andò storto.

Nato il 30 maggio 1934, Alexei Leonov aveva affrontato la carriera militare nell’Aeronautica sovietica e contemporaneamente aveva seguito le sue due grandi passioni artistiche: la pittura e la scrittura. Ha scritto una pagina storica, uscendo all’esterno della capsula mentre il suo compagno di equipaggio Pavel Belyayev restava ai comandi. La scena fu ripresa e trasmessa in diretta da una telecamera che Lenov aveva azionato uscendo.
A tenere Leonov ancorato alla navetta era un cavo lungo circa cinque metri. Era la prima volta che un’impresa del genere veniva affrontata e tutto sembrava andare per il meglio fino agli ultimi istanti, quando improvvisamente fu chiaro che rientrare all’interno della Voskhod 2 sarebbe stato impossibile.
Quel giorno, mentre il leader sovietico Leonid Brezhnev faceva sapere a Leonov di essere «orgoglioso di lui insieme a tutti i membri del Politburo», Alexei rischiò di morire intrappolato in una tuta spaziale inadatta. Contravvenendo alle regole, affrontò ogni ostacolo autonomamente.
Nessuno, da Terra, sarebbe stato in grado di aiutarlo. Si salvò, ma anche il rientro fu un miracolo. A causa della mancanza di contro pressione causata dal vuoto dello Spazio, la tuta si era gonfiata come un pallone, a tal punto che l’astronauta riuscì a malapena a rientrare all’interno dell’airlock. Evitò il peggio aprendo la valvola dell’ossigeno, ma rischiando così di restare senza aria. La manovra si rivelò vincente. «Quando entrai dentro la capsula – raccontò – ero sudato fradicio e il cuore mi batteva all’impazzata. Ma era solo l’inizio dei problemi».
A bordo la pressione dell’ossigeno era salita a livelli di guardia, con il rischio che una scintilla avrebbe potuto far esplodere tutto. Il livello poi tornò alla normalità, e senza che i due astronauti abbiano mai capito come. La difficile manovra e le procedure per sgonfiarla causarono una tale perdita di liquidi che il suo corpo perse, quel giorno, 6 kg di peso.
Ma i problemi non erano ancora finiti, lui e Belyayev atterrarono a 400 km dal campo previsto, nelle foreste degli Urali. Quando aprirono la navicella, trovarono una landa sommersa dalla neve, orsi e lupi che li costrinsero ad aspettare i soccorsi all’interno della capsula. Il terzo giorno, i due raggiunsero l’elicottero militare di soccorso. Poco o nulla trapelò nella versione ufficiale.
«Solo quando si è lassù si percepisce la grandezza – le dimensioni colossali di tutto ciò che ci circonda»
Dieci anni più tardi, nel 1975, prese parte ad una seconda impresa spaziale ugualmente avvincente: comandò la missione congiunta Apollo-Soyuz, che agganciò la Soyuz alla capsula Usa Apollo, operazione che ha segnato il disgelo nella corsa allo spazio fra Stati Uniti e Unione Sovietica, cominciata nel 1957 ai tempi del primo satellite sovietico Sputnik 1, e da allora proseguita a ritmo serrato.

Alexei Leonov è morto a 85 anni, dopo una lunga malattia. In pensione dal 1992, dopo essere stato al comando del corpo dei cosmonauti, Leonov non hai mai abbandonato la passione per la pittura e per la scrittura, nella quale spaziava dai saggi sui voli spaziali alla fantascienza.
«Ero pienamente concentrato, con il sangue freddo e, relativamente, non eccitato. Ma la vista fu straordinaria: le stelle non brillavano, era tutto fermo, tranne la terra»