Il più elegante e insolito maniero italiano è da molti anni al centro di studi esoterici che pretendono di svelare le origini di alcune sue peculiarità. Oggi, però, un’attenta analisi storica fa piazza pulita di tante teorie e speculazioni.
Corona di pietra assisa su una collina, maniero che domina la Puglia, severo fortilizio e insieme raffinata reggia: Castel del Monte vive la sua meravigliosa originalità, in un’ubicazione apparentemente remota, come un privilegio ma anche come una condanna.
Da un lato ammaliava il viandante medievale proprio come incanta il turista moderno; dall’altro, le sue peculiarità, più uniche che rare, non smettono di attrarre l’interesse di una torma di indagatori del mistero che, cercando di risolvere enigmi, finiscono per intorbidire ancor di più le acque.
D’altronde, questo castello dell’Alta Murgia, eretto a circa 18 km da Andria, fu considerato atipico fin dalla sua edificazione, nel XIII secolo. Il suo mito affonda le radici e si intreccia con un altro, quello del suo committente e, forse, progettista: Federico II di Svevia.
Lo Stupor mundi, nipote del Barbarossa, sovrano illuminato e coltissimo. Nel corso del tempo se ne esagerarono le qualità morali e intellettuali, fino a farne un precursore del Rinascimento oltreché un esempio di perfetta tolleranza religiosa.
Così, si è preferito immaginarlo intento a passeggiare nel suo tempio ottagonale alla testa di un manipolo di dotti, discettando di matematica, astrologia, scienze occulte e percorsi iniziatici, piuttosto che indagare sulla realtà storica di quel curioso castello.
La lettera di Federico
Sappiamo con certezza chi lo ha fortemente voluto: lo testimonia una missiva fatta spedire dallo svevo il 29 gennaio 1240 da Gubbio, una delle tappe del lento ritorno verso il suo regno del Sud, dopo la campagna contro la seconda Lega Lombarda.
Destinatario era il giustiziere di Capitanata, Riccardo di Montefuscolo, a cui viene ordinata la costruzione dell’edificio, più precisamente un castrum, presso S. Maria del Monte. Perché, per quanto ne dicano i sostenitori del mistero, il maniero non è stato edificato in un luogo sperduto, lontano dalle vie di comunicazione e dalle attività economiche.
In zona esisteva il monastero benedettino maschile di S. Maria del Monte, la cui prima annotazione storica risale al 1120, che altre fonti dipingono come fiorente e quindi contornato da tutte quelle attività che storicamente afferivano ai monasteri, a partire dalle famiglie di coloni che lavoravano i terreni.
Non solo, a corroborare la scelta del sito (che alcuni insistono a considerare eccentrica) c’è anche un altro documento coevo, che indicherebbe l’esistenza nello stesso luogo, poi occupato dalla nuova e imponente struttura federiciana, di un edificio fortificato normanno, già in rovina all’inizio del XIII secolo.
Sciolto il primo enigma, possiamo ora affrontare il resto del mito sorto negli anni intorno al castello svevo. Per farlo, però, occorre indagare sulle insolite caratteristiche del maniero. L’edificio ha pianta ottagonale: ogni lato esterno misura 10,30 m per un diametro totale di 56 m (il diametro del cortile interno misura 17,86 m).
Cinque delle otto torri, alte 24 m, erano un tempo sormontate da cisterne, mentre le altre tre erano destinate a ospitare armigeri e falconieri. All’interno, la costruzione si articola su due piani molto alti (sono rialzati, rispetto al piazzale, di 3 e 9,5 m) ed è ricoperta utilizzando un complesso sistema di volte a crociera alternate a volte a botte.
I piani comunicano attraverso tre scale a chiocciola che si sviluppano in senso antiorario e sono formate da 44 gradini trapezoidali, ognuno ricavato da un unico blocco di pietra, che si dipartono da una colonna centrale del diametro di 22 cm. Al piano superiore si aprono finestre bifore e, nel solo lato che guarda verso Andria, una trifora.
Ogni finestra è dotata, all’interno, di gradini e sedili per soffermarsi ad apprezzare il panorama. Molto interessante è infine la macchina che regolava la saracinesca di chiusura del portale principale, ancora oggi perfettamente apprezzabile in tutti i dettagli.
Molti, nel tempo, hanno sostenuto che la definizione di castello fosse impropria per questo edificio, e ciò nonostante il fatto che, come si è detto, fosse proprio Federico a definirlo tale.
Il mistero della scala a chiocciola
Gli argomenti addotti dagli scettici sono numerosi: non sarebbe un castello perché sprovvisto di fossato e ponte levatoio, perché scarsamente fortificato e fondamentalmente lontano dalle importanti vie di comunicazione che rendono un presidio militare coerente con il suo scopo.
E ancora: le finestre sono troppo ampie per offrire protezione, mentre, al contrario, le feritoie appaiono così strette da impedire una difesa efficace. Soprattutto, le scale a chiocciola, sviluppate in senso antiorario, sfavorirebbero gli assediati, lasciando ai nemici il favore di risalirle con il braccio destro libero di brandeggiare la spada.
Tutti elementi che, se ascrivibili soltanto a Castel del Monte, avrebbero una loro coerenza capace di giustificare una diversa destinazione della struttura. Ma dopo un’analisi di altri castelli federiciani, e numerosi manieri eretti nel resto d’Italia e d’Europa, si può rintracciare lo stesso tipo di carenze: non in tutti, nemmeno in quelli più vocati alla difesa, compaiono necessariamente fossati e ponti levatoi, e perfino le scale a chiocciola antiorarie non sono un’esclusiva di Castel del Monte.
Per non dire che esistono testimonianze di un’ulteriore struttura muraria difensiva esterna al castello, entro la quale avrebbero potuto trovare posto anche quelle scuderie la cui assenza è, per alcuni, l’ennesima dimostrazione dell’impossibilità del maniero di accogliere una guarnigione.
Più realisticamente, bisogna ammettere che il castello svevo con la sua imponente struttura, coronata ai vertici della pianta ottagonale da altrettante torri svettanti (in origine probabilmente 5 m più alte rispetto alle attuali), dominava un ampio territorio di colline digradanti verso il mare, solcato da vie di comunicazione tutt’altro che secondarie.
Castel del Monte rispondeva anche a un compito simbolico, importante per ogni castello: indurre con la sua mole timore e rispetto, offrendo la rappresentazione di un potere forte e vigile. Si spiega facilmente, così, il suo profilo poderoso e superbo.
Eppure, gli appassionati del mistero vi vedono qualcosa di diverso: una costruzione più vicina alle piramidi egizie che a un castello medievale, un tempio laico, un osservatorio astronomico; in ultima analisi, l’enigmatico lascito di un sovrano erudito, depositario di una sapienza esoterica tramandata non attraverso un trattato, bensì grazie alle particolari forme e misure di uno scrigno di pietra.
A partire dal simbolo tra i simboli, l’ottagono, intorno a cui sono cresciute le teorie più ardite e attraverso il quale è possibile interpretare l’opera voluta da Federico. Un simbolo, questo sì, ma per nulla arcano o esoterico. Scegliendolo, lo svevo volle davvero lanciare un messaggio, ma direttamente ai suoi contemporanei; i quali, non dimentichiamolo, erano uomini medievali intrisi di simbolismo e perfettamente in grado di decifrarlo.
La pianta ottagonale e il numero 8 che si ripete richiamano, contemporaneamente, due simbologie: una laica, legata all’ideologia imperiale, e una sacra, inerente la valenza che ha per i cristiani l’ottagono, simbolo di Gesù e punto d’incontro del cerchio (forma divina) e del quadrato (forma umana).
Così, Federico II, al culmine dello scontro con il papato, mette in rilievo la progressiva sacralizzazione della sua figura d’imperatore, sempre più identificata con quella di Cristo. D’altro canto, ha pianta ottagonale anche la moschea di Omar, eretta a Gerusalemme sulla spianata dove sorgeva l’antico Tempio di Salomone, e ritenuta dai cristiani il Templum Domini, che lo svevo visitò nel 1229.
E ottagonale è la Cappella Palatina ad Aquisgrana, voluta da Carlo Magno in tale forma sulla base dei resoconti dei pellegrini. Ottagonale è anche il grande lampadario donato alla stessa Cappella Palatina da Federico Barbarossa, come una Gerusalemme Celeste che, nelle funzioni più solenni, veniva calato fino a unirsi idealmente con la Gerusalemme terrena.
Infine, per chiudere il cerchio simbolico, è ottagonale la stessa corona imperiale che i sovrani svevi cingevano, a simboleggiare il loro essere soggetti solo a Dio e per questo (come già asseriva il Barbarossa, nonno di Federico II) non inferiori al papa. Castel del Monte è quindi un monumento all’autorità imperiale, custode oggi di un unico mistero: quello, insondabile, della bellezza e dell’armonia.