Un gruppo di scienziati ha scoperto undici teschi insoliti e allungati in un sito archeologico chiamato Houtaomuga, nel nord-est della Cina. Questi teschi appartenevano a cinque adulti (quattro maschi e una femmina) e a sei bambini. Tutti avevano subito la pratica della deformazione cranica artificiale, che modificava la forma del cranio fin dall’infanzia.
In Cina, gli archeologi hanno scoperto undici teschi umani con una forma insolitamente allungata in un sito del Paleolitico. Si stima che i teschi risalgano a un periodo compreso tra 12mila e 5mila anni fa. Alcuni di essi presentano una deformazione cranica così estrema da assomigliare alla testa dell’alieno, il mostro creato da Carlo Rambaldi per il famoso film Alien. Questa deformazione non è naturale, ma il risultato di una pratica culturale nota come deformazione cranica artificiale.

La deformazione cranica artificiale
La deformazione cranica artificiale è un fenomeno antropologico che interessa diverse popolazioni nel corso della storia. Si basa sull’applicazione di fasce, tavole o altri oggetti sulla testa dei neonati, per modificarne la forma in modo permanente. Questa pratica aveva spesso una valenza simbolica o identitaria, legata al prestigio sociale o alla differenziazione etnica. Alcuni dei reperti più antichi di crani deformati appartengono a due individui di Neanderthal, datati a circa 45mila anni fa. Si ritiene che la deformazione non abbia avuto effetti negativi sulle funzioni cerebrali dei soggetti.

I Crani Cinesi
Il caso degli undici crani cinesi, appartenenti a 5 adulti (quattro uomini e una donna) e sei bambini, è particolarmente significativo perché è la prima volta che si trovano prove dell’utilizzo di questa tecnica per un tempo così prolungato, circa 7mila anni. Anche la disposizione dei reperti suggerisce un utilizzo della deformazione sistematica e non casuale.
La ricerca ha anche rivelato che i crani deformati erano associati a sepolture più ricche e a una dieta più varia. Tuttavia, non è chiaro perché solo alcuni individui fossero sottoposti a questa pratica e quali fossero le sue implicazioni sociali e biologiche. Gli autori dello studio hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista American Journal of Physical Anthropology.