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Giovanni Aldini il Frankenstein italiano

Pochi sanno che alla base di uno dei più celebri romanzi Frankenstein di Mary Shelley, c’è la vicenda di uno scienziato italiano: Giovanni Aldini

Mysteria di Mysteria
4 Novembre 2023
in Miti e Leggende, Scienza e Tecnologia
Tempo di lettura: 5 min
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Home Miti e Leggende
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Pochi sanno che alla base di uno dei più celebri romanzi Frankenstein di Mary Shelley, c’è la vicenda di uno scienziato italiano: Giovanni Aldini.

«Fu in una cupa notte di novembre che vidi la realizzazione delle mie fatiche. Con un’inquietudine che rasentava il parossismo, misi assieme attorno a me gli strumenti della vita con cui avrei potuto infondere una scintilla di esistenza nella cosa inanimata che giaceva ai miei piedi. Era già l’una del mattino; la pioggia picchiettava lugubre contro i vetri e la mia candela era quasi consumata quando, alla fievole luce che si stava esaurendo, io vidi aprirsi l’occhio giallo, privo di espressione, della creatura; respirava a fatica, e un moto convulso agitava le sue membra».

Con queste parole, la scrittrice Mary Shelley immagina il momento in cui il protagonista del suo romanzo, il dottor Victor Frankenstein, riesce a ridare la vita a una creatura ottenuta assemblando le parti di diversi cadaveri. La vicenda della genesi di questo libro è abbastanza nota. Quello che pochi sanno, invece, è da dove la scrittrice trasse ispirazione per il suo protagonista.

Nel maggio del 1816, Claire Clairmont invitò la sua sorellastra, la diciannovenne Mary, insieme al marito, il famoso poeta e filosofo romantico Percy Bysshe Shelley, a passare l’estate sulle rive del lago di Ginevra, in una casa presa in affitto.

Con loro, a Villa Diodati, c’erano l’amante di Claire, che altri non era che il celebre poeta Lord Byron, e il medico personale e segretario di quest’ultimo, John William Polidori.

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Quell’anno le polveri sollevate dall’eruzione del vulcano indonesiano Tambora causarono notevoli sconvolgimenti climatici all’intero pianeta e il tempo fu pessimo per tutta la durata della vacanza, tanto che il gruppo dovette trascorrere le giornate chiuso in casa.

Alla ricerca di un modo per far passare il tempo, Lord Byron sfidò i suoi amici a scrivere una storia dell’orrore da leggere nelle sere successive. I partecipanti alla sfida scrissero opere di poco conto: Shelley un racconto dal titolo Gli assassini, Byron le pagine iniziali di una novella intitolata La sepoltura.

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Più interessante il lavoro di Polidori, che abbozzò quello che qualche anno dopo divenne la sua più grande creazione, Il vampiro, primo romanzo di successo ad avere come protagonisti i bevitori di sangue della tradizione centro-europea.

Giovanni Aldini

Intanto la giovane Mary, influenzata dalle storie lette in quelle serate e dalle discussioni che il marito intesseva con Byron riguardo a uno studioso italiano che da anni faceva parlare di sé sui giornali di tutta Europa, un certo Giovanni Aldini, gettò le basi di quello che sarebbe diventato un romanzo molto famoso: Frankenstein.

Il protagonista della vicenda ha tutta l’aria di essere la versione romanzata di Aldini. Giovanni Aldini nacque a Bologna nel 1762. Nipote del grande scienziato Luigi Galvani, scopritore dell’elettricità biologica tramite i famosi esperimenti sulle rane, fin da piccolo dimostrò uno spiccato interesse per la scienza.

Giovanni Aldini

Dopo la laurea in Fisica e quella in Filosofia, riuscì a far carriera all’interno dell’Università di Bologna come ricercatore in campo fisico. Non smise, però, di allargare i suoi orizzonti mentali continuando a studiare e imparando svariate lingue, così bene da scrivere libri e dissertazioni anche in idiomi diversi dall’italiano o dal latino.

In quegli stessi anni Aldini ottenne riconoscimenti di ogni genere e riuscì a mettere da parte una discreta fortuna economica. Contribuirono ai suoi guadagni anche il gran numero di testi di divulgazione scientifica e i brevetti ottenuti per le sue invenzioni, principalmente concentrate su nuovi dispositivi antincendio e innovativi sistemi d’illuminazione.

Fin dai primi anni di studio (forse a causa dell’innata passione per la divulgazione scientifica, attraverso cui voleva insegnare la scienza alla più vasta platea possibile), Aldini era solito organizzare dimostrazioni pubbliche delle sue scoperte.

Erano strutturate come spettacoli teatrali e pensate per impressionare e per stupire, così, con l’intento di comprovare l’ipotesi della corrente intrinseca negli animali generata dal cervello (caldeggiata dallo zio Luigi Galvani), decise di non usare le solite rane.

Giovanni Aldini, Galvanism Experiments

Assecondando il suo gusto per le esibizioni spettacolari, si servì di cadaveri umani. L’unico problema da risolvere era quello di reperire la materia prima per gli esperimenti. Escludendo di andare a rubare le salme nei cimiteri, come in seguito avrebbe fatto il suo epigono letterario, Aldini si limitò a fare quello che la legge gli consentiva: utilizzare i cadaveri dei condannati a morte.

Per il macabro divertimento del pubblico, lo scienziato applicava elettrodi a teste umane mozzate, riuscendo a produrre contrazioni muscolari e movimenti degli occhi, oltre che a far aprire e chiudere la mandibola.

Il suo sogno, però, era quello di lavorare su corpi integri, e poiché in Italia, così come nella maggior parte dei Paesi europei, l’esecuzione dei condannati avveniva tramite decapitazione, tra il 1802 e il 1803, Aldini decise di trasferirsi a Londra, dove le condanne a morte avvenivano per impiccagione.

A questo punto ci spostiamo dal racconto storico al territorio della leggenda. Si narra che Aldini cominciò a girare le carceri di Londra alla ricerca del soggetto ideale per i suoi esperimenti. Alla fine, nella prigione di Newgate, riuscì a rintracciare un uomo che pareva perfetto sotto tutti gli aspetti: il suo nome era George Forrest, ed era stato processato per aver ucciso la moglie e la figlia.

Giovanni Aldini, Galvanism Experiments 1

Prima che la condanna fosse eseguita, si scoprì però che Forrest era innocente (pare che la moglie avesse ucciso la figlia e si fosse poi tolta la vita). Leggenda vuole che Aldini, che ormai aveva scelto il soggetto dei suoi esperimenti e aveva bisogno quanto prima del suo cadavere, andò dai giudici e dietro un lauto compenso li convinse a condannare comunque l’uomo a morte.

Non sappiamo se le cose andarono davvero così, ma di certo Forrest venne impiccato e lo scienziato ne utilizzò il corpo senza vita durante una dimostrazione pubblica tenuta al teatro anatomico del Royal College of Surgeons di Londra. Fu questo evento a dargli imperitura fama e a farne uno dei personaggi più misteriosi della sua epoca.

Di quella stessa dimostrazione, parecchi anni dopo, a Villa Diodati, discussero a lungo Percy Shelley e Lord Byron, mentre la giovane Mary li ascoltava affascinata.

Esistono decine di testimonianze di quello che accadde il giorno dell’esibizione e i giornali continuarono a parlarne a lungo. Pare che, tramite stimoli elettrici, Aldini riuscì a far ricominciare a battere il cuore del cadavere e a far riprendere i suoi polmoni a respirare.

Giovanni Aldini, Galvanism Experiments 2

Il corpo ricominciò anche a muoversi, ma il cervello rimase morto e ogni movimento era dovuto esclusivamente a stimoli esterni. Poco dopo la dimostrazione, probabilmente per la scioccante emozione provata nel vedere il cadavere ricominciare a respirare, l’assistente di Giovanni Aldini morì, colpito da infarto.

Molti azzardarono l’ipotesi che, terminato l’esperimento, quando tutti se n’erano andati, Aldini compreso, il cadavere di Forrest abbia davvero ripreso vita, provocando un infarto all’assistente.

Gli studi di Giovanni Aldini su elettricità e cadaveri confluirono in un libro pubblicato in Inghilterra, Un rapporto sugli ultimi progressi del galvanismo, in cui l’autore asserisce che, dato un certo numero di condizioni indispensabili, attraverso l’elettricità è possibile riportare in vita un cadavere.

Alla sua morte, nel 1834, Aldini decise di lasciare i suoi strumenti e una cospicua rendita finanziaria al Comune di Bologna, così come poco prima aveva fatto il suo illustre collega Luigi Valeriani.

I due scienziati volevano che il denaro e gli strumenti fossero usati per creare un istituto educativo (la Scuola tecnica bolognese, che oggi si chiama Istituto tecnico industriale Aldini-Valeriani) e allestire un grande museo-laboratorio che gli studenti potessero frequentare per comprendere a fondo la scienza.

Dall’esposizione di queste due vaste raccolte di strumenti, negli anni Ottanta del Novecento nacque il Museo del patrimonio industriale di Bologna, che si trova lungo il Canale Navile. Ospitato all’interno dell’ex fornace Galotti Battiferro, il museo conserva parte degli strumenti con cui Aldini realizzò i suoi macabri esperimenti.

Sorgente: Gian Luca Margheriti
Tags: FrankensteinGiovanni AldiniLord ByronLuigi GalvaniMary ShelleyMuseo del patrimonio industriale di BolognaVictor Frankenstein

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