Nel gennaio del 2018 ha avuto inizio – anche se in sordina – una nuova era dell’esplorazione spaziale: su un razzo indiano è stato mandato in orbita un piccolo satellite, Arkyd-6, costruito dall’azienda americana Planetary Resources e programmato per cercare asteroidi potenzialmente utilizzabili come miniere.
Uno degli ostacoli principali all’esplorazione spaziale è sempre stata la morsa inesorabile della gravità terrestre. Mandare in orbita quel che serve per una missione significa far vincere la gravità a tutto il materiale, un’impresa sempre costosissima: anche con le più recenti innovazioni nella tecnologia aerospaziale, merito dell’azienda SpaceX di Elon Musk, l’invio di un singolo chilogrammo di materiale costa migliaia di dollari.
È senz’altro un’idea migliore partire leggeri e procurarsi il necessario direttamente nello Spazio. E in tal senso non c’è nulla di più promettente degli asteroidi. Materiale da costruzione avanzato dalla formazione del Sistema Solare, gli asteroidi sono ricchissimi di risorse assai utili per noi, dal ferro al platino al tungsteno: trovare un sistema per sfruttarli a scopi minerari potrebbe scatenare l’equivalente spaziale della Grande corsa all’oro che investì la California a metà dell’Ottocento.
Nel 2018, il Lussemburgo è diventato il primo paese europeo a permettere per legge alle aziende che progettano lo scavo minerario degli asteroidi di tenere per sé tutto quel che troveranno nello Spazio. Nel frattempo una compagnia aerospaziale scozzese, la Asteroid Mining Corporation, sta cercando di raccogliere 2,8 milioni di euro per costruire un satellite capace di rilevare la presenza di platino negli asteroidi più vicini alla Terra.
È verosimile che nei prossimi anni varie aziende saranno in grado di inviare sonde a esplorare almeno alcuni dei diciassettemila asteroidi che si stima siano abbastanza raggiungibili da convenire sul piano economico: si calcola, che un singolo asteroide dovrebbe contenere materie prime per almeno un miliardo di euro per ritenere la missione un successo proficuo.
I potenziali profitti sono immensi: secondo alcuni, lo sfruttamento minerario degli asteroidi potrebbe portare al primo essere umano trilionario del mondo. Gli asteroidi inoltre offrono qualcosa di ancora più essenziale per i futuri viaggiatori spaziali: il ghiaccio. L’acqua congelata è l’equivalente spaziale dell’oro: è sufficiente fonderla per avere di che bere e di che lavarsi.
E questa è solo la punta dell’iceberg: basta citare la celebre formula chimica dell’acqua, H2O, per ricordare che è composta di idrogeno e ossigeno. Ciò significa che dal ghiaccio si possono potenzialmente ricavare sia aria respirabile sia idrogeno da usare come carburante. In pratica gli asteroidi potrebbero diventare le pompe di benzina del futuro, a cui le navi spaziali attraccano per fare il pieno e continuare il viaggio.
Un’altra fermata plausibile sarebbe Marte, con le sue calotte polari e la sua abbondanza di ghiacciai.