La canapa era una pianta molto apprezzata dagli arabi, che la conoscevano grazie ai contatti con l’India, la Persia e la cultura greca. Veniva utilizzata sia per scopi terapeutici che per ottenere effetti psicoattivi.
Il termine hashish deriva dall’arabo e significa semplicemente erba, come se fosse la più importante di tutte le piante. La canapa aveva un ruolo rilevante nella medicina e nella cultura araba.
L’erba, veniva coltivata in diverse regioni e consumata in varie forme: fumata, masticata, bevuta o mangiata. Era considerata una pianta sacra, capace di avvicinare l’uomo a Dio e di favorire la creatività e la fantasia. Alcuni mistici e poeti arabi ne facevano uso per raggiungere stati di estasi e ispirazione. La canapa era anche usata per curare diverse malattie, come il dolore, l’insonnia, l’epilessia e la depressione.
La canapa, è al centro della leggenda del “Hassan-i Sabbah”, il capo di una setta di assassini che operava nel Medio Oriente nel XII secolo. Questa storia, raccontata da Marco Polo nel suo celebre libro di viaggi, il Milione, ha affascinato generazioni di lettori occidentali, soprattutto nell’epoca Romantica,
L’antica leggenda narra di una setta di guerrieri fedeli al loro capo, l’imam Hasan, signore della fortezza di Alamut. Questi guerrieri erano chiamati “assassini”, perché si diceva che consumassero hashish per avere visioni paradisiache e obbedire ciecamente agli ordini di Hasan, anche se implicavano il sacrificio della propria vita.
L’hashish li rendeva insensibili al dolore e alla paura, e li spingeva a compiere le azioni più audaci e sanguinarie. Hasan li addestrava con il pugnale, e li convinceva che avrebbero goduto per sempre delle delizie celesti se avessero portato a termine le sue missioni.
Nella versione di Marco Polo, invece, il viaggiatore racconta che il “Veglio della montagna” aveva creato in una valle tra due montagne un giardino meraviglioso e vasto, simile al paradiso dei musulmani. In questo giardino, i suoi sicari si risvegliavano dopo essere stati drogati con una pianta, e pensavano di essere nell’aldilà di Allah. Il “Veglio” li convinceva che avrebbero avuto la vita eterna in quel luogo se avessero eseguito le sue missioni criminali.
La storia degli assassini è legata alle guerre tra i musulmani e i cristiani durante le crociate. Utilizzavano la violenza e il terrore per eliminare i nemici della loro fede. I loro attacchi erano spesso suicidi, perché non temevano la morte in nome di Dio.
La loro fama si diffuse in Europa, dove furono considerati come esempi di coraggio e devozione. Alcuni poeti e cavalieri li paragonarono ai fedeli amanti dell’amore cortese, che sacrificavano tutto per la loro dama.
Anche i Templari, l’ordine religioso-militare fondato per difendere i pellegrini in Terra Santa, sembrarono ispirarsi agli assassini per alcuni aspetti della loro organizzazione e del loro simbolismo.
Nell’ottava novella della terza giornata del Decamerone, Boccaccio racconta di un’erba che induceva uno stato di morte apparente. Un abate la usava per far credere che il marito della donna che amava fosse morto, e poi lo seppelliva in una tomba nascosta. Dopo aver trascorso la notte con la donna, l’abate andava a risvegliare il marito e lo faceva tornare a casa. L’erba era forse la mandragora, una pianta con effetti narcotici e allucinogeni, usata anche per scopi magici e alchemici.
Una pianta chiamata benji, molto simile alla cannabis in apparenza e in effetti, era usata spesso nei racconti della bella Sheherazade nelle Mille e una notte. Curiosamente essa aveva la proprietà di far dormire i mariti e di stimolare la passione e il desiderio degli amanti.
Nella cultura araba la canapa era molto più che un mezzo per dominare le menti e per facilitare le relazioni amorose. L’hashish era infatti il simbolo della mistica e della pratica spirituale nel sufismo e dei dervisci, usata per resistere alle lunghe sessioni di meditazione e per provare, nella modificazione delle capacità mentali, il kif, la gioia e la salvezza eterna desiderate dal credente.