Dopo aver sconfitto i Sanniti nel 290 a.C., i Romani avevano ormai conquistato il Lazio, gran parte della Toscana, quasi tutta l’Umbria, le Marche e la Campania.
Taranto, la città più prospera e influente della Magna Grecia, non accettava l’espansione di Roma nel sud dell’Italia. I Romani, invece, che dominavano già gran parte dell’Italia, volevano conquistare tutta la Penisola per sfidare le città greche sul controllo del Mediterraneo.
Un’occasione per espandere il proprio dominio si presentò ai Romani nel 282 a.C., quando la città di Turi, fondata dai Greci sullo Ionio, li invocò contro i Lucani che minacciavano di conquistarla. I Romani non esitarono a intervenire per liberare Turi dai nemici, stabilendo poi, delle legioni nella città. In questo modo, colsero l’occasione di avvicinarsi molto a Taranto, la più potente colonia greca della Magna Grecia.
Questo fatto indispettì i Tarantini, i quali, per dimostrare quanto non fosse gradita la presenza dei Romani in quel territorio, catturarono e distrussero alcune navi romane che erano penetrate nel golfo di Taranto. Il Senato romano lo considerò come una gravissima provocazione e dichiarò guerra. I Tarantini, non sentendosi abbastanza forti per far fronte all’esercito romano, chiesero aiuto al re Pirro.
Pirro, re dell’Epiro, fu uno dei più abili generali del suo tempo. Nacque nel 318 a.C. da una stirpe regale, gli Eacidi, ma visse una vita travagliata. A soli due anni fu costretto a fuggire con il padre esiliato e, dopo essere tornato una volta, fu nuovamente cacciato da una sommossa popolare. Riuscì a salire al trono dell’Epiro (l’odierna Albania) solo nel 288 a.C..
Il suo obiettivo era chiaro: voleva creare un impero greco-occidentale e ampliare il suo regno annettendo l’Italia meridionale, la Sicilia e l’Africa settentrionale. La richiesta dei Tarantini gli offriva quindi l’opportunità, forse anche inaspettata, di avviare il suo progetto di espansione.

Nel 280 a.C., il re Pirro sbarcò in Italia con una potente armata di ventimila fanti, tremila cavalieri, duemila arcieri e una ventina di elefanti, creature mai viste prima in Italia. Gli elefanti suscitarono grande stupore tra i soldati romani, che li chiamarono «buoi lucani» dopo averli incontrati per la prima volta in Lucania.
La battaglia di Eraclea si svolge nel 280 a.C. tra le forze di Roma e quelle di Pirro. Il luogo dello scontro è vicino alla città di Eraclea, a circa 70 chilometri da Taranto. Il comandante romano, il console Publio Valerio Levino, ha il compito di fermare l’invasione di Pirro, che ambisce a creare un grande regno in Italia e in Sicilia. Pirro non esita a sferrare il primo attacco con la sua cavalleria, cercando di sfruttare la sua superiorità in questo settore e di rompere lo schieramento romano sui lati.
L’esercito di Pirro, composto da fanti, cavalieri e elefanti, affronta i Romani in una battaglia sanguinosa. I Romani resistono valorosamente, ma sono spaventati dalla vista degli elefanti, che non avevano mai visto prima. Alla fine, Pirro riesce a sconfiggere i Romani e a marciare verso Roma. Tuttavia, non si sente sicuro di assediare la città fortificata. Preferisce ritirarsi nell’Italia meridionale e aspettare il momento opportuno per sfidare di nuovo i Romani.
È la primavera del 279 a.C., i Romani affrontano i nemici con gli elefanti a Ascoli Satriano, in Puglia. Hanno imparato a non temere i pachidermi: il loro obiettivo è sopravvivere alla loro carica e alle frecce che vengono scagliate dall’alto dei pachidermi.
La battaglia si protrae per ore, con grande spargimento di sangue, i Romani non riescono a resistere: gli elefanti hanno la meglio sul campo. Pirro però paga un prezzo altissimo per il suo successo; si dice infatti che abbia affermato: «Un’altra vittoria come questa e me ne ritorno in Epiro senza soldati!».
Pirro, deluso dalle sue aspettative di una facile vittoria in Italia, si rese conto dopo un anno di non aver ottenuto risultati significativi e si orientò verso una soluzione pacifica.
La storia ci racconta che, mentre il Senato romano valutava le sue opzioni, il senatore Appio Claudio, vecchio e non vedente, abbia gridato: «Desidererei essere sordo oltre che cieco, per non sentire i Romani accettare le condizioni del nemico. Pirro deve andarsene dall’Italia e poi parleremo di pace!». Egli voleva esprimere quanto fosse vergognoso negoziare la pace dopo la disfatta, mentre il nemico era ancora nella loro terra. Stimolati alla fierezza da Appio Claudio, i Romani rifiutarono le offerte di Pirro.

Siamo nel 275 a.C. e a Malevento (che da allora si chiama Benevento) si combatte una decisiva battaglia. Pirro conta ancora sui suoi elefanti, ma i Romani hanno imparato a contrastare quei giganti. Degli arcieri lanciano delle saette con della stoppa infuocata sulla punta.
Il fuoco spaventa gli elefanti, che si ritirano e, nel tentativo di scappare, schiacciano i propri alleati epiroti. Pirro lascia l’Italia e torna in Epiro: il suo ambizioso progetto è fallito. Nel 272 Taranto capitolò ai Romani e nel 264 a.C. tutta l’Italia meridionale è saldamente in mano all’Impero Romano.