Con un volo storico, Jurij Alekseevič Gagarin ha aperto le porte dell’Universo all’umanità. Il 12 aprile 1961, il coraggioso astronauta russo è salito a bordo della capsula Vostok 1 e ha orbitato intorno alla Terra per 108 minuti. Poi è rientrato sano e salvo, sfidando le leggi della fisica e le paure del suo tempo.
Nato da una famiglia modesta in una fattoria collettiva nel villaggio di Klušino, vicino a Mosca, il 9 marzo 1934, visse in un’epoca di grandi cambiamenti politici e sociali dell’Unione Sovietica. Fu testimone della fine della rivoluzione del 1917 e dell’inizio della Guerra Fredda. Jurij aveva un sogno: volare nello spazio.
Gagarin era un ragazzo brillante, appassionato di scienze e tecnologia, ma dovette abbandonare la scuola quando i tedeschi invasero l’Unione Sovietica nel 1941. Riprese gli studi dopo la fine della guerra e si diplomò come metalmeccanico a Saratov, una città sul fiume Volga.
Durante il suo periodo a Saratov, Gagarin iniziò ad appassionarsi al volo; si iscrisse a un aeroclub della DOSAAF, dove nel fine settimana prendeva lezioni, iniziando a pilotare dapprima un biplano per poi passare ad uno Yak-18.
Nel 1955, Gagarin fu accettato alla 1ª Scuola militare aeronautica per piloti «K.E. Vorošilov» di Čkalov (poi ribattezzata Orenburg nel 1957). All’inizio svolse il suo addestramento sullo Yak-18, che gli era già familiare, e in seguito, nel 1956, si qualificò per pilotare il MiG-15.
Il 5 novembre 1957, Gagarin fu nominato tenente nelle forze aeree sovietiche e venne inviato all’ aeroporto militare di Luostari, vicino al confine norvegese per un incarico di due anni nella flotta del Nord. Fu in quell’anno che l’URSS lanciò lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale, che aprì la strada ai primi voli spaziali con esseri umani a bordo.
Nel 1959, dopo aver espresso il suo interesse per l’esplorazione spaziale – in seguito al lancio di Luna 3 – la sua passione per il volo gli valse la selezione, insieme ad altri 19 piloti, per l’addestramento da cosmonauta a Zvëzdnyj Gorodok, dove iniziò la preparazione per la storica missione Vostok. Per un anno, si sottopose a un intenso addestramento che includeva test di tolleranza alle vibrazioni e al calore, isolamento sensoriale e accelerazioni estreme. Il 25 gennaio 1961, solo sei di loro furono scelti: Gagarin era uno di loro.
Era il 12 aprile 1961 quando Jurij Gagarin, il giovane pilota sovietico di 27 anni, che in seguito sarebbe stato ribattezzato il “Cristoforo Colombo dei cieli“, si preparava a compiere la più grande impresa della sua vita e a diventare il primo uomo nello spazio della storia a bordo della Vostok 1.

«Poyekhali!» (andiamo!)
Non si sapeva nulla della sua avventura, come per la maggior parte delle missioni spaziali sovietiche. La mattina del decollo Gagarin e German Titov, il suo sostituto, si alzarono alle 5:30. Jurij seguì la sua routine, si fece una doccia e mangiò un pasto adatto allo spazio: carne macinata, confettura di more e caffè.
Poi i due cosmonauti si prepararono con cura. Indossarono una sotto-tuta blu, che li teneva al caldo e li faceva sentire comodi, e poi una tuta arancione che li avrebbe protetti dal vuoto e dalle radiazioni. La tuta arancione aveva anche un sistema che regolava la pressione, la temperatura e l’ossigeno. Sulla testa, misero delle cuffie per comunicare tra loro e con il centro di controllo, e un casco bianco con le lettere CCCP (URSS), che mostrava al mondo intero il loro orgoglio e il loro coraggio.
Gagarin era sereno, a trenta minuti dal decollo il suo cuore batteva a 64 pulsazioni al minuto. Lungo il percorso verso la piattaforma di lancio, Gagarin si fermò a urinare sulla gomma posteriore dell’autobus che lo stava trasportando. Questo gesto è diventato una tradizione obbligatoria e fortunata per tutti gli astronauti della Soyuz.
Altre tradizioni perpetuate in memoria di Gagarin sono:
- Tagliarsi i capelli due giorni prima del lancio;
- non assistere al trasporto e al posizionamento dei razzi e della navicella;
- bere un bicchiere di Champagne la mattina della partenza;
- firmare la porta della camera dell’hotel prima di uscire per raggiungere la rampa.
«Andiamo!» Esclamò Gagarin con entusiasmo alle 9:07 del 12 aprile 1961, mentre il portellone si chiudeva e il lancio era imminente. La Vostok 1 (Oriente 1), alta 4,4 metri e pesante 4,7 tonnellate, si componeva di due moduli: uno sferico, dove si trovava l’astronauta, e uno di servizio, dotato di strumentazione, retrorazzi e serbatoi di ossigeno e azoto. Era il primo volo spaziale umano della storia e Gagarin era pronto a sfidare l’ignoto.
La capsula abitativa, sebbene fosse claustrofobica, era un vero capolavoro di ingegneria spaziale. Oltre ai tre oblò, un visore ottico da orientare a mano e una telecamera, disponeva di una sofisticata strumentazione per monitorare pressione, temperatura e parametri orbitali. Il portellone e il sedile eiettabile erano essenziali per la sicurezza del cosmonauta, che doveva abbandonare la navicella e paracadutarsi a Terra in fase di rientro. Era un’impresa audace e rischiosa, ma anche entusiasmante e storica.
Partita dalla base spaziale di Bajkonur in Kazakistan, alle 9:07 ora di Mosca, la Vostok 1 compì un’orbita completa intorno al pianeta per atterrare, dopo 108 minuti, a Smielkova (Russia occidentale). Inizialmente la capsula fu diretta verso la Siberia; quindi sorvolò l’oceano Pacifico e quando si trovò nei cieli dell’Africa, si accesero i retrorazzi per frenare la navicella e consentirne il rientro. L’altitudine massima raggiunta fu di 302 chilometri e la minima di 175. La Vostok viaggiava a una velocità di 27.400 chilometri orari.
Gagarin aveva la possibilità di scegliere la frequenza radio più adatta per comunicare con il centro di controllo. Durante il volo, quattro stazioni radio sulla Terra gli inviavano musica e un segnale di chiamata in codice morse ogni 30 secondi. Così Gagarin poteva sapere che non era solo nello spazio.
In piena Guerra Fredda, gli Stati Uniti non potevano permettersi di essere sorpassati dai Sovietici, che avevano annunciato di voler mandare il primo uomo nello spazio. Per verificare la veridicità di questa impresa, l’intelligence americana aveva messo in piedi un’operazione segreta: installare delle stazioni radar capaci di captare le trasmissioni dei Sovietici e scoprire i dettagli della loro missione.
Infatti una di queste, posizionata a Shemya, nell’arcipelago delle Aleutine (Alaska), riuscì a captare le comunicazioni tra il cosmonauta e il centro di controllo a terra, trasmettendo le immagini di Gagarin all’interno della navicella Vostok. Così, a distanza di soli 58 minuti dal lancio, i vertici militari statunitensi furono costretti a riconoscere che l’Unione Sovietica stava facendo sul serio e aveva raggiunto un traguardo storico.
Per garantire la sopravvivenza dell’astronauta, la Vostok 1 era dotata di scorte di cibo e acqua per dieci giorni. Questo era il tempo previsto per il rientro sulla Terra in caso di guasto dei propulsori, che avrebbe costretto la capsula a seguire una traiettoria determinata dalla resistenza dell’aria. Questa possibilità era stata considerata fin dalla fase di progettazione, e rappresentava un piano di riserva in caso di emergenza.
«La Terra è blu… che meraviglia. È bellissima» le parole che Gagarin pronunciò sbirciando fuori dall’oblò. Poiché all’inizio dell’era spaziale, non si conoscevano i dettagli sugli effetti della permanenza del corpo umano in assenza di gravità, i medici ritenevano che durante la missione il cosmonauta avrebbe avuto problemi di orientamento, così si decise che sarebbe stato meglio lasciarlo come un semplice osservatore.
Tuttavia, i sovietici erano di diverso avviso e fu raggiunto un compromesso: mentre i controlli di volo erano affidati a un autopilota, i comandi manuali potevano essere sbloccati in caso di necessità, attraverso una combinazione numerica di tre cifre custodita in una busta sigillata. Nel caso di Gagarin, non fu necessario aprirla, perché la capsula rientrò nell’atmosfera guidata da Terra fino al suo atterraggio.
Un dramma si consumò alle 10:25, quando il modulo di servizio, che conteneva gli strumenti e i propulsori per il rientro sulla Terra, attivò i retrorazzi per 42 secondi, ma non si staccò dalla capsula del pilota. Questo provocò una perdita di controllo della navicella, che iniziò a girare vorticosamente fino a che il calore dell’attrito con l’atmosfera non bruciò i cavi che univano i due moduli.
Quando la capsula raggiunse i 7 mila metri di altitudine, il sedile con Gagarin si staccò e fu espulso. Il cosmonauta aveva due paracadute, uno principale e uno di riserva, ma si aprirono entrambi. Questo lo preoccupò, perché i cavi potevano intrecciarsi e impedire la discesa. I sovietici, però, affermarono che Gagarin rimase nella capsula fino all’atterraggio, che avvenne grazie ai paracadute sulla superficie terrestre.
Gagarin atterrò in una zona rurale della Russia occidentale, nella provincia di Saratov, alle 10:55 del 12 aprile 1961. Il suo volo nello spazio era durato 108 minuti. Le prime persone che incontrò una volta atterrato, furono la terrorizzata contadina Anna Taktatova e sua nipote di 6 anni, che stavano lavorando nei campi.
Il volo di Gagarin fu un evento cruciale perché provò che l’uomo era in grado di sopportare le enormi forze della decollata e del ritorno nell’atmosfera e di adattarsi alle condizioni avverse dello spazio extra-atmosferico.

Gagarin non tornò mai nello spazio dopo il suo storico volo a bordo del Vostok. Forse i leader sovietici temevano di rovinare la sua reputazione con un’altra missione pericolosa. Più tardi, Gagarin fu scelto come riserva per il Soyuz 1, che si concluse in tragedia nell’aprile del 1967 con la morte del colonnello Vladimir Komarov, il primo caduto ufficiale nella corsa allo spazio.
Dopo Gagarin, primo astronauta della storia e primo uomo che ha portato a compimento un volo spaziale attorno alla Terra, bisognerà attendere due decenni quando, il 12 aprile 1981, gli Stati Uniti lanciarono il loro primo veicolo spaziale riutilizzabile, lo Space Shuttle Columbia, da Cape Canaveral in Florida. Questa missione segnò l’inizio di una nuova fase nella storia dell’astronautica, quella dei voli spaziali regolari e delle stazioni spaziali.
L’impresa di Gagarin rappresentò un trionfo per l’URSS, che si affermò come leader nella conquista dello spazio. L’America non rimase indietro e ottenne il primato lunare dopo soli otto anni. Lo sviluppo dell’esplorazione spaziale fu condizionato dalla guerra fredda, e ogni operazione era un’occasione – per una superpotenza o per l’altra – di esibire la propria supremazia. Oggi i giorni del confronto spaziale tra superpotenze sono finiti, Russia e Stati Uniti collaborano per la conquista dello spazio.
La morte prematura di Gagarin
Gagarin perde la vita in un tragico incidente aereo all’età di trentaquattro, sette anni dopo la sua conquista dello spazio. Il 27 marzo 1968, Gagarin decollò dalla base sovietica di Chkalovskij a bordo di un aereo supersonico biposto MiG-15 UTI: con lui c’era l’esperto istruttore e collaudatore Vladimir Sergeyevich Seryogin. Per ordine del Cremlino, Gagarin non aveva il permesso di volare da solo (per motivi di sicurezza). Alle 10:31, si interruppero le comunicazioni con la torre di controllo.
I resti dell’aereo, con i cadaveri dei piloti, erano coperti da una densa colonna di fumo. Non si sa ancora cosa abbia causato il disastro, ma alcuni testimoni hanno riferito di aver udito due boati. Il destino del velivolo rimane avvolto nel mistero. Diverse sono le ipotesi formulate da fonti ufficiali e non.
Tutte queste versioni non sono state dimostrate e sono a tutti gli effetti solo speculazioni. Non essendo mai stata ritrovata la scatola nera, le vere cause dell’incidente non verranno mai alla luce. La più probabile è che Gagarin e il suo collega morirono per colpa di una serie di tragiche circostanze tra cui difficoltà tecniche, il maltempo, e probabilmente, alcuni errori umani.
A Juri Gagarin è stato dedicato in Russia il centro di addestramento dove si preparano i cosmonauti prescelti per le varie missioni spaziali e in suo onore è stato eretto a Mosca nel 1980 un monumento alto 40 metri, costruito in Titanio. La sua vita e le sue imprese sono fonte di ispirazione per chi sogna di esplorare l’universo.