La Bielorussia ha subito il 70% del fallout radioattivo a seguito del gravissimo incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986 che è avvenuto in Ucraina e di cui ancora oggi le conseguenze sono complesse e disastrose. La nube radioattiva a causa del vento si spostò, colpendo duramente una vasta superficie ed in particolare la Bielorussia, l’Ucraina e la Russia, arrivando fino a toccare numerosi stati europei.
Senza dubbio, quello di Chernobyl è classificato come il più grave incidente nucleare civile nella storia dell’umanità che, tra le altre cose, ha dimostrato con evidenza l’assurdità della scelta nucleare, riconfermata tragicamente dall’incidente di Fukushima. Un gran numero di persone fu impiegato dopo l’esplosione, militari e pompieri, i cosiddetti liquidatori, che lavorarono senza mezzi idonei per cercare di spegnere il gravissimo incendio con conseguenze tragiche per la loro salute e con una contaminazione dalle dimensioni inenarrabili. Basti pensare che ancora oggi intorno alla centrale c’è una zona interdetta di 30 km di raggio con una contaminazione altissima e che il sarcofago del reattore, costruito appositamente dopo l’incidente per limitare il pericolo della radioattività, è stato sostituito da un arco in acciaio, un’opera mastodontica che racchiude ciò che è rimasto del reattore esploso.
L’incidente di Chernobyl ha determinato la proliferazione di patologie tumorali, in primo luogo il tumore tiroideo, che ha colpito in misura maggiore i bambini con più di 150.000 casi. Inoltre, nel corso del tempo sono stati moltissimi i casi di leucemie e patologie a carico degli apparati respiratorio, cardiovascolare e digerente. Ancora oggi, 5 milioni di persone vivono nelle zone contaminate e si nutrono di cibo fortemente radioattivo in Russia, Bielorussia e Ucraina con il conseguente abbassamento delle difese immunitarie, provocando una diminuzione drastica dell’età media.
La contaminazione ha interessato quasi tutta la Bielorussia a macchia di leopardo, con zone altamente radioattive anche nei pressi della capitale. La zona più colpita è la regione di Gomel, a sud-est del paese, l’area più vicina al confine con l’Ucraina. La cruda realtà di questi territori è terribilmente in contrasto con la realtà di Minsk, dalle caratteristiche di una capitale europea. Le aree rurali sono caratterizzate da piccole case in legno e villaggi ad alto indice di povertà in cui le problematiche sociali, legate anche alla diffusione dell’alcolismo, si intrecciano fortemente con la dinamica della forte presenza di radioattività, dando origine ad un effetto esplosivo per chi abita in questi territori.
I prodotti agricoli rappresentano la maggiore fonte di contaminazione ad oggi e ciò perché il territorio è ancora gravemente contaminato soprattutto da cesio-137 e stronzio-90, presenti nei primi strati del terreno e che contaminano frutta, verdura, cereali e animali di allevamento. La dieta degli abitanti, quindi, è sempre più densa di radionuclidi. Nonostante siano passati più di trent’anni, la radioattività rappresenta sempre un elemento altamente pericoloso, ipotecando il presente e il futuro di un territorio un tempo considerato il granaio dell’ex Unione Sovietica.
Nei primi anni che hanno seguito la catastrofe di Chernobyl, i riflettori di tutto il mondo erano puntati sulla Bielorussia che in poco tempo si trasformò nel più grande laboratorio a cielo aperto sulle conseguenze della contaminazione radioattiva. Con il tempo, però, l’attenzione è diminuita notevolmente e oggi le popolazioni che vivono nelle aree contaminate sono sempre più abbandonate al loro destino. Allo stesso tempo, sono diminuiti gli aiuti umanitari ed anche i progetti di cooperazione, insieme al minore interesse anche dal punto di vista scientifico. Tutto sembra scorrere senza problemi e la vita di ciascuno non pare essere segnata dall’incidente nucleare, si tende a parlarne il meno possibile, a dimenticare e cancellare i ricordi come se nulla fosse avvenuto, anche minimizzando la situazione di alto rischio ancora presente nel Paese. E ciò a discapito di tutti, nessuno escluso.
Nelle zone più radioattive della regione di Gomel, in Bielorussia, a 300 – 400 km da Minsk, dopo aver attraversato distese immense di boschi di Betulle e sterminati campi coltivati, i villaggi più colpiti dall’incidente di Chernobyl di 33 anni fa sono caratterizzati da case interamente di legno in cui vive una buona parte della popolazione in condizioni di estrema povertà.
È evidente la forte connessione negativa tra rischio radioattivo, problematiche sociali, alcolismo legato all’abitudine diffusissima di bere vodka e disgregazione dei gruppi familiari. L’alimentazione basata su prodotti agricoli spesso contaminati rappresenta il principale fattore di rischio quotidiano.
Nei primi anni dopo la catastrofe di Chernobyl, l’80% della contaminazione era quella diretta delle polveri presenti nel terreno ed il 20% dipendeva invece dall’alimentazione basata su prodotti contaminati. Oggi è l’esatto contrario: la maggior parte della radioattività proviene proprio dalla dieta, spesso piena di radionuclidi che minano la salute sia degli adulti che dei bambini, con un aumento significativo delle patologie tumorali.
Vietka, Narovlia, Cecersch, Braghin, Buda kusceloova, sono alcune delle provincie della regione di Gomel più contaminate, in cui lo scenario è purtroppo molto simile e l’atmosfera particolarmente pesante e complessa. La radioattività non si sente, non si vede, non si nota in modo evidente, ma tutti sanno che c’è e che è un nemico misterioso contro il quale si hanno poche armi per combattere.
Vivere in aree ad alto rischio come queste mette a dura prova lo stato di salute della popolazione residente. Ed è proprio per questo che ancora oggi medici, sindaci, insegnanti che vivono in queste aree, ricevono come sussidio uno stipendio maggiore ed anche i bambini nelle scuole hanno gratuitamente la mensa ed altri servizi dallo Stato.
Oggi, occorre abbassare il più possibile la grave condizione di pericolo a cui sono sottoposti e soprattutto fare grande attenzione alla dieta che costituisce, appunto, il maggiore fattore di rischio. Emerge, anche se con dignità, una marcata rassegnazione, tristezza ed un velo di malinconia negli occhi di chi vive in questi luoghi in cui il proprio futuro e quello dei propri figli è drammaticamente segnato ed ipotecato.
Eppure i volti dei residenti, esprimono con chiarezza la voglia di andare avanti, cercando di superare quella che è una delle conseguenze più gravi della catastrofe nucleare: la cosiddetta “sindrome di Chernobyl” caratterizzata da gravi problemi psicologici che sopraggiungono quando non si vede prospettiva alla condanna di vivere in una zona radioattiva.