La storia della USS Indianapolis si conclude il 30 luglio 1945, alle 12:14, quando un sottomarino giapponese nel Mare delle Filippine lanciò due siluri in direzione della nave ferendola a morte.
La massiccia nave da guerra affondò rapidamente in soli 12 minuti, portando nelle profondità del mare 300 marinai. Gli oltre 800 marinai rimasti in vita, si ritrovarono a galla senza scialuppe di salvataggio e senza cibo e acqua. Il mare era infestato dagli squali e quando i sopravvissuti all’affondamento, vennero ritrovati, quattro giorni dopo, la frenesia e gli squali affamati si erano presi tutti i superstiti, tranne 317 uomini.

Charles Butler McVay III, il capitano della nave, riuscì a sopravvivere al calvario solo per essere deferito alla corte marziale e condannato per “aver messo in pericolo la sua nave non eseguendo una manovra a zig-zag”. La manovra a zig-zag era in pratica una traiettoria a “Z” che le navi effettuavano nel tentativo di impedire ai sommergibili nemici di poterle colpire in pieno con i siluri.
La colpa di questa terribile tragedia fu addossata unicamente a questo fervente e rispettato capitano di marina con un impeccabile curriculum navale. Dopo un processo ridicolo, la carriera di McVay finì e la sua reputazione fu rovinata. Le famiglie dei marinai deceduti, sconvolte, iniziarono a bombardare McVay con lettere piene di odio. Il senso di colpa e la vergogna aumentarono fino a quando McVay si tolse la vita nel 1968.
All’apparenza questo terribile evento sembrerebbe concluso. Il capitano di una nave aveva disobbedito agli ordini diretti, la sua nave era stata affondata e centinaia di coraggiosi marinai erano morti in modo orribile. Il colpevole è stato punito da una corte marziale. Giustizia è stata fatta, il caso è chiuso.
Se tutto questo fosse davvero vero, perché tutti i 317 uomini sopravvissuti avrebbero lottato con tanta determinazione per dimostrare l’innocenza del loro capitano e avrebbero giurato di far annullare il verdetto della corte marziale anche decenni dopo la sua morte? Come in tutte le cospirazioni, nulla è mai come sembra…

Un’analisi dettagliata del caso dell’USS Indianapolis, dall’inizio della missione alla fine del processo al capitano Mcvay, mette in luce alcuni fatti enigmatici e inquietanti. Fatti che dimostrano la responsabilità della Marina statunitense nell’affondamento della nave e nella conseguente morte di quasi tutti i marinai.
Per cominciare, il processo McVay è stato una farsa. La Marina statunitense ha nascosto informazioni di intelligence vitali che dimostravano che McVay non aveva alcuna colpa, inoltre, al team incaricato nella difesa di McVay non era stato permesso di preparare una linea difensiva.
La Marina aveva deciso fin dall’inizio che McVay sarebbe stato il capro espiatorio dei propri errori, ma si trovò di fronte al problema di decidere di cosa accusarlo. McVay era stato informato in anticipo che sarebbe stato accusato per dei reati, ma solo quattro giorni prima del processo vero e proprio gli fu comunicato quali fossero le accuse esatte.
Quando finalmente vennero formulate le due accuse, la prima per non aver impartito tempestivamente l’ordine di abbandonare la nave e la seconda per aver messo in pericolo la sua imbarcazione non procedendo a zig-zag in condizioni di buona visibilità, McVay era già stato condannato.
Al team di difesa di McVay venne negato un rinvio per definire la sua difesa. A McVay fu anche negata la scelta dell’avvocato difensore. Gli venne invece assegnato un avvocato, scelto dagli stessi uomini che lo stavano sottoponendo alla corte marziale.
Durante il processo si apprese che gli ordini precisi di McVay erano di seguire una rotta a zig-zag, tranne che in caso di nebbia fitta, che però poteva essere decisa direttamente da lui. La notte del 30 luglio era nuvolosa. Testimonianze oculari confermano che in quel momento il tempo era caratterizzato da nuvole da moderate a intense.
Con il tempo nuvoloso e solo a “discrezione” del capitano, la rotta a zig-zag era stata sospesa, come previsto dagli ordini. Gli ufficiali militari non possono essere sottoposti a corte marziale per un errore di giudizio, ma solo per aver disobbedito a ordini diretti, cosa che McVay non fece.
Durante il processo a carico di McVay fu chiamato a testimoniare il signor Hashimoto, il capitano del sottomarino giapponese. Hashimoto avrebbe dichiarato che sarebbe riuscito a centrare la nave sia che fosse stata in rotta a zig-zag sia che non lo fosse stato. Questi dettagli non ebbero importanza per la commissione della corte marziale che aveva già deciso il caso, tuttavia non sono questi i fatti più inquietanti della vicenda.
Nessuna nave da guerra, non dotata di dispositivi di rilevamento antisommergibile come l’Indianapolis, viaggiò mai tra Guam e le Filippine senza una scorta di cacciatorpediniere durante la Seconda Guerra Mondiale. infatti, McVay chiese ripetutamente una scorta di un cacciatorpediniere.
Le sue richieste furono stranamente negate. Quattro giorni prima dell’affondamento della USS Indianapolis, un’altra nave, la USS Underhill, era stata distrutta da un sottomarino giapponese nella stessa zona. Al capitano McVay non fu mai comunicata questa informazione cruciale.
Si deve tenere presente che la richiesta di McVay di ottenere una scorta fu negata perché la Marina statunitense affermava che non fosse necessaria. Infatti, la Marina aveva informato McVay che non c’erano “avvistamenti confermati di sottomarini” lungo il suo percorso, un rapporto che attualmente risulta essere completamente falso.
Nel 1993, grazie alla legge sulla libertà di informazione, i sopravvissuti della USS Indianapolis appresero quanto fosse radicato il verme. Documenti top-secret declassificati della Marina statunitense hanno dimostrato che la Marina utilizzava un sistema di decifrazione di codici chiamato ULTRA, che aveva permesso di apprendere che c’era un sottomarino giapponese esattamente sulla rotta di McVay.
Nonostante queste informazioni, non fu mai inviato alcun preavviso a McVay. Le autorità statunitensi intercettarono anche un messaggio del sottomarino giapponese I-58 al suo quartier generale in Giappone, in cui si comunicava che aveva affondato la USS Indianapolis.

Questo messaggio fu ignorato e anche dopo che la USS Indianapolis non segnalò il suo arrivo, la Marina non iniziò nessuna ricerca. La USS Indianapolis aveva inviato tre richieste di soccorso prima di affondare. Uno di questi segnali fu ricevuto dalla base navale statunitense nelle Filippine. Anche questo fu ignorato.
Non fu mai fatto alcuno sforzo per localizzare la nave o i suoi possibili sopravvissuti. Gli uomini, furono individuati solo grazie a un fortunato incidente, quando un pilota di bombardieri sorvolò i marinai in difficoltà.
Dopo aver appreso dell’affondamento, la Marina non divulgò alcuna informazione al pubblico per due settimane. Questo ritardo doveva garantire che la copertura della stampa sulla vicenda fosse minima. Con la fine ufficiale della Seconda Guerra Mondiale, ci sarebbe stato più tempo da dedicare alle celebrazioni e meno per indagare su una nave statunitense affondata.
Quando gli aspetti specifici del disastro vengono portati accuratamente alla luce, diventa chiaro che la Marina, e non il capitano McVay, ha segnato il destino dell’equipaggio a bordo della USS Indianapolis inviandola, completamente priva di protezione, in acque dove sapeva che un sottomarino nemico era in attesa. Inoltre, dopo che la nave non si segnalò in porto, non fu costituita nessuna squadra di ricerca.
La Marina continuò a ignorare qualsiasi prova che dimostrasse che la nave poteva essere stata affondata in mare. Nessuna segnalazione in porto, quindi, la Marina cercò di trovare la nave scomparsa e il suo equipaggio di 1.196 uomini. Dopo tutte le morti inutili che la Marina aveva causato con una serie di errori continui, si sarebbe spinta oltre, uccidendo un altro uomo di quell’equipaggio, il capitano McVay.
L’ingiusta corte marziale contro il capitano McVay ,mise in moto gli eventi che lo avrebbero portato al suicidio.