Il passaggio a nord-ovest è la rotta navale che collega l’Oceano Pacifico a quello Atlantico, sin dalle prime esplorazioni l’area è divenuta ossessione di avventurieri, geografi, commercianti e politici di ogni nazione, pronti a sfidare i ghiacci e le avversità di territori selvaggi. Una delle più popolari fu quella guidata, nel XIX secolo, da alcuni veterani di viaggi in territori ostili, capitanata da Sir John Franklin.
La spedizione di Franklin
La spedizione partì da Greenhithe, in Inghilterra, la mattina del 19 maggio 1845; ne facevano parte 24 ufficiali e 110 uomini di equipaggio. Sir John Franklin salpò con la Erebus mentre la Terror fu sotto il comando di Francis Crozier. La spedizione aveva lo scopo dichiarato di raccogliere dati nel Canada del Nord e di completare l’attraversamento del passaggio a Nord Ovest, che era già stato tracciato da est a ovest, ma non era mai stato del tutto superato.
Le navi fecero una breve sosta nella baia di Stromness, nelle Isole Orcadi a nord della Scozia, quindi ripartirono alla volta della Groenlandia accompagnate da un’altra nave militare, la HMS Rattler, e da una nave da trasporto, la Barretto Junior.
La Erebus e la Terror erano navi molto robuste ed equipaggiate con nuove invenzioni. Per il loro viaggio verso l’Artico, la Erebus e la Terror furono equipaggiate con motori a vapore da 15 KW, (convertiti da motori di locomotiva). Il motore a vapore della Erebus era stato fornito dalle Ferrovie di Londra e Greenwich mentre quello della Terror probabilmente dalle Ferrovie di Londra e Birmingham.

Le navi potevano, con la sola propulsione a motore, mantenere una velocità di quattro nodi. Tra le altre tecnologie all’avanguardia di cui disponevano c’erano la prua rinforzata con placche di ferro, un sistema di riscaldamento interno a vapore per il benessere dell’equipaggio, eliche a vite e timoni di ferro che potevano essere ritirati all’interno di protezioni, sempre in ferro.
A bordo erano disponibili biblioteche con più di 1.000 volumi, mentre le cambuse contenevano razioni di alimenti conservati o in scatola sufficienti per tre anni.
Inoltre esisteva un rudimentale sistema di dissalazione dell’acqua marina. Sfortunatamente però, gli alimenti in scatola erano stati procurati da un fornitore al ribasso, Stephen Goldner, che aveva ottenuto il contratto il 1º aprile 1845, solo sette settimane prima della partenza. Goldner lavorò molto in fretta per produrre le 8.000 scatole che gli erano state ordinate e in seguito si scoprì che aveva usato piombo per le saldature che risultarono rozze e grossolane, e il piombo era colato all’interno come la cera fusa sgocciola dalle candele.
La maggior parte dell’equipaggio era composto da inglesi, molti dei quali dalle regioni del nord; c’era inoltre un certo numero di scozzesi e irlandesi. Oltre a Franklin e Crozier, i soli altri ufficiali ad aver esperienza delle regioni artiche erano un assistente chirurgo e i due esperti di ghiaccio.

Nei pressi delle isole Whalefish, nella baia di Disko sulla costa occidentale della Groenlandia, vennero macellati 10 buoi fino ad allora caricati sul mercantile per ottenere una provvista di carne fresca; le provviste vennero trasferite sulla Erebus e sulla Terror e gli uomini scrissero le loro ultime lettere ai familiari. Prima della partenza definitiva cinque uomini furono congedati e mandati a casa sulla HMS Rattler e sulla Barretto Junior, riducendo il numero finale dei membri della spedizione a 129.
L’ultimo avvistamento
La spedizione venne vista per l’ultima volta da occhi europei all’inizio dell’agosto 1845, quando il capitano Dannett della baleniera Prince of Wales e il capitano Robert Martin della baleniera Enterprise incontrarono la Terror e la Erebus nella Baia di Baffin mentre attendevano le condizioni favorevoli per attraversare lo Stretto di Lancaster.
Dopo aver attraversato lo stretto di Lancaster, gli equipaggi trascorsero il primo inverno 1845-46 sull’isola di Beechey, nei pressi dell’isola di Devon, dove tre membri dell’equipaggio morirono e vennero sepolti. Dopo un avanzamento in direzione sud-ovest, le navi restarono bloccate nel ghiaccio nei pressi dell’isola di Re Guglielmo nel 1848 e non riuscirono più a liberarsi.

Secondo un biglietto datato 25 aprile 1848 e lasciato sull’isola da Fitzjames e Crozier, Franklin era morto l’11 giugno 1847. Il gruppo aveva passato gli inverni 1846-47 e 1847-48 sull’Isola di Re William e i superstiti il 26 aprile 1848 avevano deciso di abbandonare le due navi e di dirigersi a piedi verso il fiume Back nel Canada continentale.
A quel punto erano già morti nove ufficiali e 15 uomini dell’equipaggio; il resto del gruppo sarebbe morto lungo il cammino, la maggior parte sull’isola e altri trenta o quaranta sulla costa o nell’entroterra canadese, a centinaia di chilometri di distanza dal più vicino avamposto occidentale.
Le prime ricerche
Trascorsi due anni senza alcuna notizia di Franklin si diffuse una certa preoccupazione e Lady Jane Franklin – insieme a membri del Parlamento e ai giornali britannici – fece pressione sull’Ammiragliato affinché inviasse una squadra di ricerca.

L’Ammiragliato organizzò quindi un piano per muoversi su tre fronti diversi che venne messo in pratica nella primavera del 1848. Fu inviato un gruppo di soccorso via terra, guidato da Sir John Richardson e John Rae, che discese il fiume Mackenzie fino alla costa artica. Furono inoltre organizzate due spedizioni via mare; la prima entrò nell’arcipelago artico canadese passando per lo Stretto di Lancaster, mentre la seconda arrivò dal lato dell’Oceano Pacifico.
Inoltre l’Ammiragliato mise in palio una ricompensa di 20.000 sterline per qualsiasi spedizione, di qualsiasi paese, che porterà aiuto agli uomini delle navi da esplorazione sotto il comando di Sir John Franklin. Dopo che la triplice spedizione si risolse in un fallimento la preoccupazione nel Regno Unito e l’interesse per l’Artico aumentarono fino al punto che trovare Franklin si trasformò in qualcosa di molto simile ad una crociata.
Molte persone decisero di unirsi alla ricerca. Nel 1850 l’artico canadese venne perlustrato da undici imbarcazioni britanniche e due statunitensi. Molte di queste si diressero al largo della costa orientale dell’Isola di Beechey, dove furono trovate le prime vestigia della spedizione, tra cui i resti dell’accampamento invernale del 1845-46 e le tombe di John Torrington, John Hartnell e William Braine. Sul posto però non venne trovato alcun messaggio lasciato dalla spedizione.
Le ricerche via terra
Nel 1854 John Rae mentre effettuava rilevamenti nella penisola di Boothia per conto della Compagnia della Baia di Hudson (HBC) scoprì ulteriori prove del triste destino degli esploratori scomparsi.
Il 21 aprile 1854 Rae incontrò un Inuk nei pressi di Pelly Bay (attuale Kugaaruk, Nunavut), che gli raccontò di un gruppo di 35/40 uomini bianchi che erano morti di stenti vicino alla foce del fiume Back; successivamente altri Inuit confermarono la storia, aggiungendo ulteriori particolari relativi al fatto che i marinai in fin di vita erano ricorsi anche al cannibalismo.

Gli Inuit mostrarono a Rae alcuni oggetti che furono riconosciuti come appartenenti a Franklin e ai suoi uomini. In particolare Rae acquistò dagli Inuit di Pelly Bay diversi cucchiai e forchette d’argento che in seguito si stabilì essere appartenute a Fitzjames, Crozier, Franklin e Robert Osmer Sargent, un ufficiale della Erebus.
La relazione di Rae venne inviata all’Ammiragliato che, nell’ottobre 1854 fece pressione sull’HBC affinché inviasse una spedizione lungo il Back per cercare altre tracce di Franklin e i suoi uomini.
La ricerca successiva venne quindi effettuata dal dirigente della HBC James Anderson con l’impiegato della compagnia James Stewart, che si diressero verso nord in canoa fino alla foce del Back.
Nel luglio 1855 una tribù di Inuit raccontò loro di un gruppo di qallunaat (vocabolo Inuit con cui si definivano i bianchi) che era morto di fame e stenti lungo la costa. In agosto Anderson e Stewart trovarono un pezzo di legno con intagliata la scritta Erebus ed un altro dove era scritto Mr. Stanley (nome del chirurgo di bordo della Erebus) sull’Isola Montreal nella Baia di Chantrey, dove il fiume Back incontra il mare.
Malgrado le scoperte di Rae e Anderson, l’Ammiragliato decise di non organizzare un’altra ricerca. La Gran Bretagna dichiarò gli uomini ufficialmente morti in servizio il 31 marzo 1854.
Lady Franklin, non essendo riuscita a convincere il governo a finanziare un’altra spedizione, ne organizzò una personalmente, affidata al comando di Francis Leopold McClintock. L’imbarcazione per la spedizione, lo schooner a vapore Fox acquistato grazie ad una sottoscrizione pubblica, salpò da Aberdeen il 2 luglio 1857.

Nell’aprile 1859 una squadra a bordo di slitte lasciò la Fox per effettuare ricerche sull’Isola Re William. Il 5 maggio il gruppo, guidato dal tenente di vascello William Hobson trovò sotto un cairn (costruzione formata da pietre impilate a secco) un documento lasciato da Crozier e Fitzjames.
Conteneva due messaggi: il primo, datato 28 maggio 1847, diceva che la Erebus e la Terror avevano svernato tra i ghiacci sulla costa nordoccidentale dell’isola, mentre avevano passato l’inverno precedente sull’Isola di Beechey dopo aver circumnavigato l’Isola Cornwallis. Il messaggio diceva: «Sir John Franklin comanda la spedizione. Tutto bene».
Il secondo messaggio, scritto sui margini dello stesso foglio di carta, era molto più sinistro. Datato 25 aprile 1848, riferiva che la Erebus e la Terror erano rimaste intrappolate dal ghiaccio per un anno e mezzo e che l’equipaggio le aveva abbandonate il 22 aprile.
Ventiquattro uomini tra ufficiali e ciurma erano morti, tra i quali Franklin, perito l’11 giugno 1847, solo due settimane dopo la stesura del primo messaggio. Crozier aveva preso il comando della spedizione e i 105 sopravvissuti avevano deciso di partire il giorno seguente dirigendosi a sud verso il fiume Back. L’annotazione conteneva errori significativi; in particolare la data dell’accampamento invernale sull’Isola di Beechey è errata e segnalata come 1846-47 invece di 1845-46.
La spedizione McClintock inoltre trovò uno scheletro umano sulla costa meridionale dell’Isola Re William. Il corpo era ancora vestito, venne frugato e su di esso si trovarono alcuni documenti, tra cui il tesserino del sottufficiale Henry Peglar (nato nel 1808), addetto alla coffa di trinchetto della HMS Terror.
Tuttavia, dal momento che l’uniforme era quella di un cambusiere, è probabile che in realtà il corpo fosse di Thomas Armitage, addetto alla stiva delle armi della Terror e compagno di bordo di Peglar, del quale portava i documenti. In un altro luogo sull’estremità occidentale dell’isola, Hobson scoprì una scialuppa di salvataggio che conteneva due scheletri e altri resti della spedizione Franklin.

Nella barca c’era una grande quantità di equipaggiamento, ma si trattava di una selezione di oggetti davvero bizzarra che comprendeva stivali, fazzoletti di seta, sapone profumato, posateria d’argento, spugne, pantofole, sigari, pettini, spazzole e libri, tra cui una copia di Il vicario di Wakefield di Oliver Goldsmith. Anche McClintock raccolse testimonianze di Inuit, riguardo alla disastrosa fine della spedizione.
Tra il 1860 e il 1869 due spedizioni guidate da Charles Francis Hall, che visse presso gli Inuit prima vicino alla Baia di Frobisher sull’Isola di Baffin e in seguito a Repulse Bay nel Canada continentale, trovarono tracce di accampamenti, tombe e resti vari sulla costa meridionale dell’Isola Re William, ma nessuno dei superstiti della spedizione Franklin che Hall credeva di poter trovare tra gli Inuit.
Pur rassegnato al fatto che tutti gli uomini di Franklin erano morti, rimase convinto che dei documenti ufficiali della spedizione avrebbero ancora potuto essere scoperti sotto un cairn. Con l’aiuto delle sue guide Ebierbing e Tookoolito, Hall raccolse centinaia di pagine di testimonianze di Inuit. Tra questo materiale si trovano racconti di visite alle navi di Franklin e di un incontro con un gruppo di bianchi sulla costa meridionale dell’Isola Re William, nei pressi della Baia di Washington.
Negli anni novanta queste testimonianze vennero analizzate a fondo da David C. Woodman che ne fece le basi dei suoi due libri Unravelling the Franklin Mystery (1992) e Strangers Among Us (1995), nei quali ricostruisce gli ultimi mesi della spedizione.

La speranza di ritrovare i documenti perduti spinse il tenente di vascello dell’esercito degli Stati Uniti Frederick Schwatka ad organizzare una spedizione sull’isola tra il 1878 e il 1880. Dopo aver attraversato la Baia di Hudson a bordo dello schooner Eothen, Schwatka, che aveva messo insieme una squadra che comprendeva gli Inuit che avevano aiutato Hall, proseguì verso nord a piedi e con slitte trainate da cani, intervistando gli Inuit e visitando i luoghi dove si sapeva o era probabile vi fossero i resti della spedizione Franklin, trascorrendo l’inverno sull’isola Re William.
Schwatka non riuscì a trovare le agognate carte, ma in un discorso tenuto durante una cena in suo onore organizzata nel 1880 dall’American Geographical Society osservò che la sua spedizione aveva fatto il più lungo viaggio via slitta sia per quanto riguarda la durata sia per la strada percorsa in quanto era durato 11 mesi e quattro giorni in cui erano stati percorsi 4.360 km; disse anche che era stata la prima spedizione artica in cui i bianchi avevano adottato interamente la dieta e lo stile di vita degli Inuit, e che i possibili documenti della spedizione Franklin erano da considerarsi perduti oltre ogni ragionevole dubbio.
La spedizione Schwatka non trovò alcuna traccia della spedizione Franklin più a sud di un luogo chiamato Starvation Cove (Baia della fame) sulla Penisola di Adelaide. Tale luogo si trova molto più a nord della meta fissata da Crozier, il fiume Back, e a molte centinaia di chilometri di distanza dal più vicino avamposto occidentale, che si trovava sul Grande Lago degli Schiavi.
Woodman scrisse che, secondo alcune relazioni di Inuit, fra il 1852 e il 1858 Crozier e un altro membro della spedizione erano stati visti nella zona del Baker Lake, circa 400 km a sud, dove nel 1948 Farley Mowat trovò un cairn molto antico, non costruito nella tradizionale maniera eschimese dentro il quale vi erano schegge di una scatola di legno massiccio con giunti a coda di rondine.
Gli scavi sull’Isola di Re William (1981–82)
Nel giugno 1981 Owen Beattie, professore di antropologia della University of Alberta, diede il via al Franklin Expedition Forensic Anthropology Project (FEFAP) quando lui e la sua squadra di assistenti andarono da Edmonton sull’Isola di Re William, attraversando la costa occidentale dell’isola come avevano fatto gli uomini di Franklin 132 anni prima. Il FEFAP sperava di trovare manufatti e resti umani per poterli sottoporre alle moderne tecniche di medicina forense, in modo da stabilire le possibili cause di morte dei 129 uomini scomparsi.
La spedizione trovò in effetti reperti archeologici riconducibili agli europei del XIX secolo e resti umani non ancora scoperti, ma Beattie rimase deluso dalla loro scarsa quantità. Esaminando le ossa dei componenti della ciurma di Franklin notò tracce tipiche dei casi di carenza di vitamina C, la causa dello scorbuto.

Rientrato a Edmonton riesaminò lo proprie annotazioni con James Savelle, un archeologo artico, e notò che dei segni sulle ossa suggerivano che fosse stato praticato il cannibalismo. Cercando informazioni sulla salute degli uomini di Franklin e sulla loro dieta, mandò dei campioni di ossa all’Alberta Soil and Feed Testing Laboratory perché venissero analizzate, e mise insieme un’altra squadra per tornare sull’Isola di Re William.
Le analisi rivelarono l’inaspettato livello di 226 parti per milione di piombo nelle ossa degli uomini di Franklin, un livello dieci volte più elevato di quello del gruppo di controllo composto da ossa di Inuit della zona, che era di 26-36 parti per milione.
Nel giugno 1982 un gruppo composto da Beattie, Walt Kowall (specializzando in antropologia dell’University of Alberta), Arne Carlson (archeologo e studente di geografia della Simon Fraser University) e Arsien Tungilik (uno studente Inuit assistente di campo), volò sulla costa occidentale dell’Isola di Re William dove ripercorse parte del viaggio di McClintock del 1859 e di quello di Schwatka del 1878–79.
In questa spedizione furono scoperti i resti di vari uomini, un numero fra sei e quattordici, nei paraggi del luogo in cui McClintock aveva trovato la scialuppa, e vari manufatti, tra cui la suola di uno stivale a cui erano state applicate delle assicelle di legno per cercare di avere una migliore presa sulla neve.
Gli scavi e le esumazioni sull’Isola di Beechey (1984 e 1986)
Dopo essere tornato ad Edmonton nel 1982 ed essere venuto a sapere del livello di piombo contenuto nei resti trovati dalla spedizione del 1981, Beattie cercò tenacemente di scoprirne il motivo.

Tra le possibilità c’erano il piombo fuso impiegato per saldare le latte di cibo in scatola usato dalla spedizione, altri contenitori per il cibo fatti con lamine di piombo, coloranti alimentari, derivati del tabacco, servizi da tavola in peltro e candele di scarsa qualità che contenevano piombo. Beattie iniziò a sospettare che i problemi derivanti dall’avvelenamento da piombo combinati con gli effetti dello scorbuto potevano essersi rivelati letali per la ciurma di Franklin.
Tuttavia, dal momento che il piombo contenuto nelle ossa poteva essersi accumulato nel corso dell’intera vita della persona e non solo durante il viaggio, la teoria di Beattie poteva essere convalidata solo da analisi forensi di tessuti molli da confrontare con quelle delle ossa. Il professore decise così di esaminare le tombe degli uomini sepolti sull’Isola di Beechey.
Ottenuti i permessi legali, la squadra di Beattie si recò sull’Isola di Beechey nell’agosto 1984 per eseguire delle autopsie sui tre corpi lì sepolti. Iniziarono con il corpo del primo uomo a morire, il capo fuochista John Shaw Torrington.
Se il suo corpo non fosse rimasto intatto nel ghiaccio, John Torrington sarebbe semplicemente scomparso dalla storia: lui era un semplice fuochista a bordo della HMS Terror, di cui non si sa praticamente nulla: chi fosse, dove vivesse, perché partecipò alla spedizione, qualsiasi notizia che lo riguardi fu inghiottita dall’Artico canadese. Una targa inchiodata sul coperchio della sua bara informa che l’uomo, appena ventenne, morì il 1°gennaio 1846. Poi, un metro e mezzo di permafrost cementò la tomba di Torrington nel terreno, circostanza che consentì alla squadra di Beattie di esaminare un corpo perfettamente conservato.

Il marinaio era vestito con abiti leggeri, di cotone e lino, il suo corpo era adagiato su un letto di trucioli di legno, le membra tenute ferme da strisce di stoffa, mentre il viso era coperto da un tessuto sottile. Quando questo leggero sudario fu rimosso, gli scienziati subirono il più forte spavento della loro vita: «due gelidi occhi azzurri sembravano fissarli in modo inquietante».
Eseguita l’autopsia di Torrington e dopo aver riesumato ed esaminato rapidamente il corpo di John Hartnell, la squadra, a corto di tempo e minacciata dalle condizioni atmosferiche, rientrò ad Edmonton con campioni di ossa e tessuti. L’analisi delle ossa e dei capelli di Torrington indicò che l’uomo avrebbe sofferto di gravi problemi fisici e mentali provocati dall’avvelenamento da piombo. Anche se l’autopsia indicava che la causa ultima di morte era stata la polmonite, l’avvelenamento da piombo veniva citato come concausa.
Nel corso della spedizione la squadra visitò un sito distante circa 1 km a nord del luogo in cui si trovano le tombe, per esaminare i resti di centinaia di scatole vuote di cibo gettate via dagli uomini di Franklin. Beattie constatò che le confezioni erano state malamente saldate col piombo, che molto probabilmente era entrato a diretto contatto con il cibo.
Recenti ricerche hanno suggerito che un’altra potenziale fonte dell’intossicazione da piombo potrebbe essere stato il sistema di desalinizzazione dell’acqua in dotazione alle navi, piuttosto che il cibo in scatola. K.T.H. Farrer ha sostenuto che:
«È impossibile che una persona possa ingerire dal cibo in scatola quella quantità di piombo, 3,3 milligrammi al giorno per otto mesi, necessaria per raggiungere il livello di 80 μg/dL al quale in una persona adulta iniziano a comparire i sintomi dell’avvelenamento, quindi l’idea che il piombo nelle ossa potesse derivare dal cibo ingerito nel corso di pochi mesi, ma anche di tre anni, sembra poco sostenibile».
Inoltre il cibo in scatola era ampiamente usato all’epoca nella Marina britannica, e il suo consumo non aveva causato significativi avvelenamenti da piombo in nessun altro caso. La singolarità della spedizione Franklin era che le navi erano state equipaggiate con motori da locomotiva adattati che richiedevano circa una tonnellata di acqua dolce all’ora per produrre vapore.

È molto probabile che, proprio per questo motivo, le navi fossero state dotate di un sistema idraulico particolare che, dati i materiali abitualmente impiegati all’epoca, avrebbero potuto produrre enormi quantità d’acqua con un elevato contenuto di piombo. Anche William Battersby ha sostenuto che quella fu la fonte più probabile per l’elevato livello di piombo osservato nei resti dei membri della spedizione, piuttosto che il cibo in scatola.
Un ulteriore esame delle tombe fu effettuato nel 1986. Nonostante le difficili condizioni ambientali, Derek Notman, medico e radiologo della University of Minnesota, e il tecnico radiologo Larry Anderson scattarono diverse lastre dei corpi prima dell’autopsia.
All’indagine parteciparono anche Barbara Schweger, esperta di abbigliamento artico, e il patologo Roger Amy. Beattie e il suo gruppo notarono che qualcun altro aveva tentato prima di loro di riesumare Hartnell. Durante il tentativo il coperchio della bara era stato danneggiato con un piccone, inoltre mancava la placca sopra la cassa.
Successive ricerche condotte ad Edmonton mostrarono come Sir Edward Belcher, comandante di una delle spedizioni andate in soccorso di Franklin, nell’ottobre 1852 avesse ordinato la riesumazione di Hartnell ma l’operazione non fosse riuscita per la durezza del permafrost. Un mese dopo Edward A. Inglefield, comandante di un’altra spedizione di soccorso, era riuscito a riesumare il corpo e aveva rimosso la targa della bara.
A differenza della tomba di Hartnell, quella del soldato William Braine era sostanzialmente intatta. Quando l’uomo venne riesumato, gli esaminatori notarono che la sua sepoltura era stata fatta in maniera frettolosa. Le braccia, il corpo e la testa non erano stati sistemati con cura nel sarcofago e una delle maglie che indossava era infilata a rovescio. La bara sembrava di dimensioni troppo piccole per contenerlo e il coperchio, che era decorato con una placca di rame con il suo nome e altri dati personali, gli schiacciava il naso.
Gli scavi sul sito NgLj-2 (1992)
Nel 1992, una squadra di archeologi e antropologi forensi individuò un sito, che denominarono NgLj-2, sulla costa occidentale dell’Isola Re William. Il sito corrisponde alle descrizioni fatte da Leopold McClintock di quello in cui ritrovò la scialuppa di salvataggio.
Gli scavi effettuati in loco portarono alla luce 400 tra ossa e frammenti di ossa, oltre a manufatti che vanno dai pezzi di pipe d’argilla a bottoni e accessori d’ottone. L’esame delle ossa effettuato da Anne Keenleyside, la scienziata forense del gruppo, mostrarono elevati livelli di piombo e molti segni di scalfitture compatibili con la scarnificazione. Sulla base delle scoperte di questa spedizione è stato diffusamente accettato il fatto che almeno alcuni gruppi degli uomini di Franklin, giunti allo stremo delle forze, siano ricorsi al cannibalismo.
Le ricerche dei relitti (1992-93)
Nel 1992 David C. Woodman, con l’aiuto dell’esperto di magnetometri Brad Nelson, organizzò il Progetto Ootjoolik per cercare il relitto che le testimonianze degli Inuit affermavano giacere al largo della penisola di Adelaide.
Si servirono di due velivoli, uno fornito dal National Research Council e l’altro dalle forze aeree canadesi, entrambi equipaggiati con un magnetometro, ai quali fecero perlustrare una vasta area ad ovest del Capo Grant da un’altezza di 200 metri. Furono rilevati più di 60 oggetti magneticamente sensibili, cinque dei quali sembravano rispondere molto precisamente alle caratteristiche che ci si aspettava avessero le navi di Franklin.
Nel 1993 il dottor Joe Mcinnis e Woodman tentarono di identificare i ritrovamenti più promettenti dell’anno precedente. Noleggiato un aeroplano, atterrarono sul ghiaccio in tre dei siti, praticarono in ciascuno un buco attraverso la calotta e calarono un piccolo sonar a scansione a settore per cercare di ottenere delle immagini del fondale.
Tuttavia, a causa del viaggio turbolento e delle condizioni del ghiaccio, non fu possibile identificare con precisione il posizionamento dei fori, e inoltre non venne trovato nulla di interessante. L’unica informazione insolita fu che i luoghi che collimavano con le descrizioni Inuit del naufragio presentavano profondità fino ad allora sconosciute.
Ricerche sull’isola di Re William (1994-95)
Nel 1994 Woodman organizzò e diresse una ricerca nella zona tra Capo Collinson e l’attuale Victory point (nel territorio di Nunavut) per cercare le “tombe” di cui il cacciatore Inuit Supunger aveva parlato nella sua testimonianza. Una squadra di dieci persone si impegnò nella ricerca per dieci giorni, supportata finanziariamente dalla Canadian Geographical Society, ma delle tombe non si trovò traccia.
Nel 1995 venne organizzata una spedizione congiunta da Woodman, George Hobson e l’avventuriero statunitense Stephen Trafton, che giunti sul posto si dedicarono a ricerche separatamente. Il gruppo di Hobson, accompagnato dall’archeologa Margaret Bertulli, indagò sull’accampamento estivo trovato a poche miglia a sud di Capo Felix, dove erano stati trovati alcuni resti di scarso rilievo della spedizione.
Woodman invece, con due compagni, si diresse a sud dalla Baia di Wall fino al Victory Point cercando di scoprire tutti gli accampamenti che probabilmente erano stati piantati lungo quella costa; trovò però solo alcune scatole di cibo arrugginite e un accampamento fino ad allora sconosciuto nei pressi del Capo Maria Louisa.
Ulteriori ricerche dei relitti (1997 – 2016)
Nel 1997, in occasione del centocinquantennale della missione di Franklin, venne organizzata dalla società cinematografica Eco-Nova una spedizione che si proponeva di impiegare il sonar per indagare meglio sui siti individuati con il magnetometro nel 1992.

Il capo della squadra di archeologi era Robert Grenier, assistito da Margaret Bertulli, mentre Woodman fu nuovamente lo storico della spedizione e coordinatore delle ricerche. Le ricerche vennero effettuate a bordo del rompighiaccio della Guardia Costiera Canadese Laurier. Vennero pattugliati circa 40 km² nei pressi dell’Isola Kirkwall, senza risultato.
Quando alcuni gruppi di ricerca distaccati trovarono resti della Spedizione di Franklin, soprattutto lamiere di rame e piccoli oggetti, sulle spiagge di alcuni isolotti a nord dell’Isola O’Reilly, le ricerche vennero spostate in quella zona ma il maltempo impedì di ottenere risultati significativi prima del termine della missione. Sulla spedizione venne prodotto dalla Eco-Nova un documentario, Oceans of Mystery: Search for the Lost Fleet.
Nel 2000 James P. Delgado, del Vancouver Maritime Museum organizzò una rievocazione dello storico viaggio a ovest della nave St. Roch attraverso il passaggio a Nordovest a bordo del catamarano Nadon, assistito dal tender Simon Fraser. Sapendo che il ghiaccio avrebbe potuto ritardare il transito nella zona dell’Isola di Re Wiliam, Delgado offrì ai suoi amici Hobson e Woodman di impiegare il sonar del Nadon per esplorare i fondali della zona a nord dell’Isola Kirkwall, ma anch’egli non ottenne risultati.
Nel 2001, 2002 e 2004 Woodman organizzò altre tre spedizioni per cercare i relitti delle navi di Franklin mappando i fondali con il magnetometro. I magnetometri vennero montati su slitte e portati sul pack per completare la perlustrazione della zona a nord dell’Isola Kirkwall (2001) ed esplorare completamente la zona dell’Isola O’Reilly (2002 e 2004).
Tutti gli oggetti magneticamente più interessanti ritrovati vennero poi identificati dal sonar come di origine naturale. Durante le ricerche, nel 2002 e 2004, su un’isoletta a nord-est dell’Isola O’Reilly vennero ritrovati alcuni piccoli manufatti attribuibili alla Spedizione Franklin e i tipici resti di un accampamento di esploratori.
Il 25 luglio 2010 fu ritrovata la HMS Investigator, una nave mercantile rimasta imprigionata nel ghiaccio e abbandonata dall’equipaggio durante una ricerca della spedizione di Franklin condotta nel 1853. La nave fu ritrovata in acque basse presso la Mercy Bay, lungo la costa settentrionale dell’Isola di Banks. La squadra di Parks Canada riferì che era in buone condizioni, in posizione verticale sotto circa 11 metri di acqua.
Il relitto dell’Erebus è stato infine trovato il giorno 11 settembre 2014 da una spedizione del National Geographic, in posizione verticale a 12 metri di profondità in buono stato di conservazione. Ispezioni condotte con ROV automatici all’interno hanno portato alla luce numerosi reperti che hanno permesso un’identificazione sicura del relitto.
Nei primi giorni di settembre del 2016 è stato annunciato il ritrovamento del relitto della Terror in una piccola insenatura dell’isola di Re William, a più di 50 chilometri di distanza dalla Erebus. La nave, in perfetto stato, si trova a pochi metri di profondità tant’è vero che la localizzazione è stata possibile attraverso le testimonianze di alcuni Inuit riguardo alla cima dell’albero principale che emergerebbe periodicamente dalle acque. Le foto subacquee mostrarono intatta l’intera struttura, in particolare la campana di bordo e la ruota del timone.