Succede spesso che un nuovo predicatore del giorno del giudizio faccia notizia annunciando che la fine del mondo sia vicina. La maggioranza li prende allegramente per matti, anche se una minoranza tende quantomeno a temere che possano essere a conoscenza di qualcosa, e un’altra più esigua prende sul serio le loro terribili predizioni.
Quando il giorno del giudizio inevitabilmente arriva e passa senza incidenti, i credenti vengono lasciati liberi di cercare una spiegazione razionale del fallimento di questo profeta, nel frattempo la maggior parte dei suoi seguaci cambia idea. Poi il prossimo profeta fa la sua previsione e il ciclo ricomincia.
La tendenza ad essere profeti dell’apocalisse è tutt’altro che un fenomeno moderno. Forse ha origine da quando gli esseri umani sono stati in grado di concepire un mondo più grande e il loro posto in esso. Di certo nella storia ci sono molti, moltissimi esempi di profeti del giorno del giudizio che hanno condotto il loro popolo alla rovina e alla distruzione in nome di una fede sbagliata.
Tra i tanti del passato, pur non essendo un profeta dell’apocalisse in sé, aveva molto in comune con i “santi” dei giorni nostri: un complesso da messia, un messaggio che attirava un seguito di devoti, azioni che portavano all’indigenza e/o alla morte dei suoi seguaci e una totale incapacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Si chiamava Mosè di Creta e nel 448 d.C. affermò che avrebbe condotto gli ebrei di Creta nella Terra Promessa.
Mosè di Creta
Molti devoti oggi consultano le Scritture per cercare di determinare quando arriverà la fine. Nel V secolo si verificò una situazione analoga nella comunità ebraica, ma piuttosto che cercare di calcolare la fine dei tempi, gli ebrei fedeli cercarono di usare il Talmud per stimare quando sarebbe arrivato il loro Messia.
Gli ebrei erano stati dispersi dopo che i Romani avevano distrutto Gerusalemme nel 70 d.C. in seguito alla rivolta ebraica avvenuta in Palestina. Molti desideravano ricostruire ciò che era andato perduto ed ottenere la restituzione della Terra Promessa.
Un uomo della diaspora cretese sosteneva di poterlo fare. Le sue origini si sono perse nella storia, eppure è uscito dall’oscurità per soddisfare i calcoli talmudici del messia ebraico. Affermò di essere Mosè. Non un Mosè qualsiasi; il Mosè, la figura dell’Antico Testamento che condusse il suo popolo dai vincoli della schiavitù alla Terra Promessa in Palestina.
Mosè di Creta disse che avrebbe fatto lo stesso per gli ebrei di Creta. Viaggiò per tutta l’isola, conquistando continuamente nuovi adepti. Convinse i suoi fedeli a rinunciare a tutte le loro proprietà e a seguirlo, promettendo che se lo avessero fatto avrebbe diviso i mari e li avrebbe condotti sulla terraferma fino a Gerusalemme.
Quando giunse il momento dell’evento miracoloso, Mosè condusse i suoi fedeli su un’alta scogliera a picco sul mare. Ne seguì una scena di orrore: i primi fedeli si gettarono dalla scogliera nel mare sottostante, sfracellandosi sugli scogli o annegando nel mare in tempesta.
Se non fosse stato per i pescatori nelle vicinanze, ne sarebbero morti degli altri. I sopravvissuti tornarono a raccontare ai fedeli rimasti il fallimento del loro profeta. Quando i seguaci infuriati cercarono di trovare il loro ex leader e di punirlo per il suo inganno, scoprirono che si era volatilizzato senza lasciare traccia.
La sua scomparsa, improvvisa quanto il suo arrivo, portò molti a credere che Mosè di Creta fosse un demone materializzato, intenzionato a distruggere gli ebrei cretesi. In realtà, Mosè era un artista della truffa e un ingannatore che, come le sue controparti moderne, giocava sulle vulnerabilità del suo pubblico per piegarlo alla sua volontà. Sarà stato anche diabolico, ma la sua cattiveria è stata molto umana.