Dal cotone al pepe, dal tabacco alla coca: ecco le specie che hanno fatto le «rivoluzioni verdi» nella storia umana.
Il papiro, tesoro d’Egitto
L’uomo ha sempre trovato il modo di scrivere su qualsiasi superficie, dalla roccia alla pelle essiccata degli animali passando per le tavolette d’argilla. Ma se oggi usiamo quaderni e libri il merito è anche di una pianta, il papiro, usata in Egitto dal 3000 a.C., ha segnato l’evoluzione della civiltà benché non sia impiegato da un millennio.
Il papiro ha bisogno di molta acqua per sopravvivere: ecco perché prosperava nel Delta del Nilo, dove godeva delle inondazioni annuali del fiume.
Gli Egizi utilizzavano la polpa della pianta, tagliata a strisce e pressata: il risultato era un materiale leggero e flessibile. Si smise di usarlo in seguito a una tremenda siccità che colpì il Nilo nell’XI secolo d.C., venne dimenticato e sostituito con fibre vegetali meno nobili. Intanto, prima i Cinesi, poi gli Arabi insegnarono agli europei come usare la corteccia degli alberi per produrre la carta.
Il silfio che fece grande Cirene
Il silfio cirenaico si è estinto da quasi duemila anni. Per un periodo altrettanto lungo è stata la pianta più importante della civiltà occidentale: legume pregiato, foraggio per animali, panacea contro ogni male e primo contraccettivo.
Utilizzata già dagli Egizi, rese ricchissima, nel 600 a.C., la città di Cirene (attuale Libia): era talmente centrale per il commercio che la sua immagine era stampata su tutte le monete locali. Il silfio era ricercato per la sua resina, il laserpitium, utilizzata per le proprietà antinfiammatorie, antidolorifiche e antispastiche.
Sorano di Efeso (II secolo d.C.), padre della ginecologia, lo prescriveva come miscuglio di afrodisiaco e anticoncezionale: aveva infatti proprietà stimolanti, ma ostacolava la fecondazione o induceva aborti.
Le patate
Ci sono almeno due continenti al mondo che non sarebbero quello che sono senza la patata. Il primo è l’America, dove questo tubero è conosciuto dal 3000 a.C.: era alla base della dieta degli Inca.
E proprio in Perù i conquistadores spagnoli lo scoprirono, portandolo in Europa. Mai più senza. Nel Vecchio Mondo all’inizio era una pianta ornamentale. Poi si diffuse in molti Paesi, tra cui la Germania, dove Federico il Grande nel Settecento ne incentivò la coltivazione, come principale fonte di sostentamento.
Quando, nel 1840, un fungo devastò i campi di patate in Irlanda si ebbe una delle carestie più spaventose della Storia: un milione di morti e due milioni di profughi, quasi tutti emigrati in America, dove per questo ci sono così tanti irlandesi.
Quel toccasana del tabacco
Insieme al cotone, il tabacco è la coltura non alimentare più importante al mondo. Oggi il suo nome è associato alle sigarette, ma in origine il suo utilizzo non aveva solo a che fare con il fumo.
Da quando Jean Nicot (1530-1600), ambasciatore francese in Portogallo, lo aveva spedito alla sua sovrana Caterina de’Medici per combattere l’emicrania, il tabacco diventò un toccasana: triturato e inalato, fu usato anche contro mal di denti e gotta.
A diffondere in Europa l’abitudine di fumare sarebbe stato invece lo spagnolo Rodrigo de Jerez. Salpato con Cristoforo Colombo alla ricerca delle Indie nel 1492, aveva osservato gli indios che fumavano le foglie di tabacco avvolte in rotoli di palma o mais.
Fu una rivoluzione: il tabacco entrò in pipe, sigari e sigarette. Queste ultime, durante la Grande guerra, si rivelarono irrinunciabili per i soldati al fronte che ne sfruttavano le proprietà antistress. Negli Anni ’50, però, si scoprirono i rischi per la salute.
Coca: la «bomba» delle Ande
Da duemila anni le popolazioni che vivono sulle Ande masticano le foglie dell’albero della coca, perché sanno che poco dopo saranno pieni di voglia di fare, privi di inibizioni e intossicati dal piacere.
Non c’è mai stato dubbio sul fatto che la coca fosse una droga, ma fino all’arrivo dei primi colonizzatori europei nessuno aveva mai pensato che potesse diventare pericolosa.
Tra gli indigeni, l’uso delle foglie di coca era riservato alle cerimonie religiose e ai chasqui, i postini dell’epoca, che avevano bisogno di una spinta per percorrere decine di chilometri a piedi a migliaia di metri di altitudine, mentre gli spagnoli cominciarono a utilizzarla come merce di scambio per pagare il lavoro degli schiavi in miniera.
Ma la prima rivoluzione la fecero i cereali
Orzo, luppolo, riso, frumento, mais: se dovessimo indicare una sola categoria di piante senza le quali l’umanità non sarebbe dov’è oggi, non faremmo fatica a scegliere i cereali. Quando 10mila anni fa inventammo l’agricoltura, orzo e grano furono le prime piante coltivate, perché erano facili da curare e molto nutrienti.
L’ingresso dei cereali nella dieta umana allungò la speranza di vita dell’intera specie e portò persino cambiamenti nella forma del nostro viso, le cui mascelle si specializzarono per poter masticare meglio il nuovo cibo.
Orzo e frumento hanno cambiato i paesaggi europei, il mais l’ha fatto per quelli americani e il riso (che oggi rappresenta il 30% della produzione mondiale di cereali) per quelli cinesi, dove il cereale viene coltivato bagnato: le risaie sono uno dei paesaggi agricoli più diffusi nel mondo, dalla Cina agli Stati Uniti fino all’Europa.
Ma non bisogna dimenticare gli utilizzi più ricreativi: i cereali sono alla base della lavorazione di molte bevande alcoliche, dalla birra (il luppolo) alla vodka (il grano) al whisky (l’orzo).
Canapa milleusi
Oggi è illegale in molti Paesi: associata al suo utilizzo come droga ricreativa, la canapa è invece una delle prime piante coltivate dall’uomo, e una delle più versatili. Le fibre che produce sono più resistenti di quelle del cotone, tanto che in molti sono convinti che si potrebbero utilizzare per sostituire la plastica.
La canapa inoltre cresce rapidamente e senza bisogno di pesticidi, particolare che faciliterebbe la coltura intensiva. Contiene però THC, una sostanza psicotropa che ha proprietà mediche (come antidolorifico, antidepressivo o per rallentare gli effetti del Morbo di Alzheimer), ma è anche uno stupefacente: ecco perché, nell’America degli Anni ’30, la pianta fu messa fuorilegge.
Quando il caffè «invase» l’Europa
Le proprietà rinvigorenti del caffè (sotto, i frutti) furono scoperte in Etiopia verso l’800 d.C. Questo oro nero divenne una specialità del mondo arabo, dal quale non uscì fino a che la Compagnia olandese delle Indie importò le piante, invece dei chicchi che gli arabi spogliavano, pare, della polpa esterna per renderli sterili.
La diffusione della bevanda in Occidente andò di pari passo con quella dei caffè, istituzioni culturali che si affermarono tra XVII e XVIII secolo. Tè caldo. Un altro famoso collega del caffè, il tè (consumato in Cina fin dal III secolo), divenne invece pretesto di una rivoluzione, quella americana: il 16 dicembre 1773 i coloni travestiti da indiani gettarono in mare un carico di tè come protesta contro le tasse imposte dalla madrepatria inglese.
Il pepe? Ci portò in America
Cristoforo Colombo partì il 3 agosto 1492 proprio in cerca del pepe. Trovò l’America, ma non se ne rese conto: pensava di aver raggiunto le Indie, da cui veniva importato il re delle spezie, il pepe nero.
Nativa dell’India, dove ancora oggi cresce allo stato selvatico, la pianta produce frutti che, se lasciati essiccare e poi macinati, si trasformano in una polvere dal sapore inconfondibile.
Fino al XVIII secolo veniva importato in Europa direttamente dall’India, a costi esorbitanti: i profitti del commercio di pepe consentirono per esempio alle banche veneziane di arricchirsi.
Quando però l’ufficiale britannico Robert Clive sconfisse i Moghul del Bengala e stabilì il dominio inglese sull’area, il pepe smise di essere un bene prezioso, e oggi è una merce diffusa e poco costosa.
Il gelso, di cui si nutre il baco da seta, è stato motore dell’economia cinese per millenni. E nel ’700 cambiò anche quella europea.
Il cotone
Prima che l’uomo inventasse i tessuti sintetici il cotone era il materiale tessile più usato. Lo è stato per migliaia di anni: le prime coltivazioni risalgono al 3000 a.C. (sono state scoperte sia in Pakistan sia in Messico). Quando portoghesi e spagnoli arrivarono nelle Americhe indossavano gli stessi indumenti di cotone degli indigeni.
Dal ’700 la pianta fu coltivata su larga scala e il tessuto si diffuse sempre più. L’industrializzazione della produzione scatenò persino un movimento di ribellione contro le oscure fabbriche sataniche (parole del poeta William Blake). E quando il cotone sbarcò in America diede la spinta decisiva allo schiavismo: nel 1855 una persona su due negli Usa del Sud era uno schiavo nero nelle piantagioni.
Bambù: l’oro verde d’Oriente
«Il gentiluomo dovrebbe essere come il bambù: dritto e forte come una canna, ma anche vuoto dentro, come il suo fusto» (cioè privo di pregiudizi): così consigliava nell’VIII secolo il poeta cinese Bai Juyi.
Il bambù è, insieme al riso, la pianta che più ha caratterizzato la storia della Cina e dell’Oriente in generale (a destra, una foresta di bambù nel Giappone di fine ’800).
Sfruttato 2mila anni fa dai primi abitanti delle foreste cinesi, diventò prima il materiale dei documenti ufficiali, poi pietanza principale per i monaci buddisti a cui era vietato il consumo di carne. Il fusto cavo si usava anche per gli strumenti musicali: le 12 note della musica cinese sarebbero state suonate per la prima volta su un flauto di bambù.