L’immagine di Joe O’Donnell è passata alla storia. Documenta tutta la tragedia del sei agosto 1945 quando «Enola Gay» sganciò su Hiroshima «Little Boy», la prima bomba atomica a uso bellico.
Il 6 agosto 1945, alle 8.15 del mattino, il Boeing USA B-29 Superfortress «Enola Gay» sganciò su Hiroshima «Little Boy», la prima bomba atomica a uso bellico, cogliendo di sorpresa la città, importante centro navale e militare.
Lo spostamento d’aria di eccezionale potenza rase al suolo case e edifici nel raggio di circa 2 km. Ai gravissimi effetti termici e radioattivi immediati (80.000 morti e quasi 40.000 feriti, più 13.000 dispersi) si aggiunsero negli anni successivi gli effetti delle radiazioni, che portarono le vittime a quota 250.000. L’esperimento fu ripetuto il giorno 9 agosto: «Fat Man», la seconda bomba, fu lanciata su Nagasaki.

Morirono 70.000 persone prima della fine del 1945 e altrettante negli anni successivi. Il 14 agosto, la riunione del governo nel rifugio antiaereo del Palazzo imperiale vide l’imperatore Hirohito annunciare la volontà di arrendersi dopo i drammatici bombardamenti delle due città. Il 15 agosto, il suo discorso di resa fu consegnato alla radio. Era definitivamente conclusa la Seconda Guerra Mondiale.
La foto che è passata alla storia
Una foto scattata nel 1945 dalla macchina fotografica di Joe O’Donnell, giornalista e fotografo americano che lavorò per la United States Information Agency, inviato in Giappone per documentare gli effetti delle due bombe atomiche sganciate a Hiroshima e Nagasaki. Uno scatto che vale più di mille parole. Una foto che racconta in un silenzio assordante, come solo una foto può fare, la tragicità della guerra, descritta negli occhi spenti di un ragazzino orfano di dieci anni.
La testa inclinata, il volto sereno, rilassato. Il bimbo sembra dormire sulle spalle del fratello, che rimane immobile. Sembra quasi non voglia disturbare il sonno del piccolo. Ma il fratellino è morto, e il bambino, che ha appena 10 anni, sta aspettando che venga cremato.

«Ho visto un ragazzo di circa dieci anni a piedi. Portava un bambino sulla schiena. In quei giorni in Giappone, spesso abbiamo visto i bambini che giocavano con i loro piccoli fratelli o sorelle sulle loro spalle, ma questo ragazzo era chiaramente diverso. Si vedeva chiaramente che era venuto in questo posto per una ragione seria. Non indossava scarpe. Il viso era contratto. La piccola testa del bambino (sulle spalle) era piegata come se fosse addormentato. Il ragazzo stette lì per cinque o dieci minuti.
Poi gli uomini in maschera bianca gli si avvicinarono e cominciarono tranquillamente a togliere la corda che legava il bambino. Allora ho visto che il bambino era già morto. Gli uomini presero il corpo per le mani e i piedi e lo adagiarono sul fuoco. Il ragazzo era fermo, immobile, fissava le fiamme. Stava mordendo il labbro inferiore così forte che brillava di sangue. La fiamma bruciava bassa come il sole che scendeva. Il ragazzo si voltò e se ne andò in silenzio».

Così Joe O’Donnell raccontò l’immane tragedia che colpì il Giappone dopo il 6 e il 9 agosto 1945. Dopo aver passato sette mesi a raccontare le vite e le morti di un Giappone martoriato, viaggiò documentando macerie, morti, cremazioni, orfani, feriti, menomazioni, esperienza, nella quale raccolse centinaia di immagini durissime, si convinse che fu un errore usare l’atomica. Una volta tornato in America, provò a dimenticare tutto quello che vide. Poi, circa 20 anni fa, decise di condividere con il mondo le sue foto, nella speranza che gli errori del passato non si ripetessero in futuro.

In seguito O’Donnell di immagini storiche ne avrebbe scattate altre, come fotografo ufficiale della Casa Bianca. Franklin Roosevelt insieme a Stalin e a Winston Churchill a Yalta; la famosa stretta di mano, sull’isola di Wake, nel 1950, tra il presidente Harry Truman e il generale Douglas MacArthur, da lui rimosso pochi mesi dopo per avere minacciato un attacco contro la Cina in piena guerra di Corea; il piccolo John John Kennedy che saluta militarmente la bara del padre presidente assassinato pochi giorni prima, il 22 novembre del 1963, a Dallas, in Texas.
In un’intervista del 1995 all’emittente giapponese NHK TV, nel 50esimo anniversario dell’attacco americano, Joe si scusò con il popolo giapponese, in particolare con i famigliari delle vittime dei bombardamenti: «Voglio esprimervi questa sera il mio dolore e rammarico per il dolore e la sofferenza causata dai crudeli e inutili bombardamenti atomici delle vostre città… Mai più Pearl Harbor! Mai più Hiroshima! Mai più Nagasaki!»
Nonostante quelle radiazioni a cui si era sottoposto poco più che trentenne per documentare il più grande orrore bellico della storia, l’appuntamento con la morte è stato a lungo rimandato.
Joe O’Donnell è morto il 9 agosto 2007 a Nashville, Tennessee, Stati Uniti, all’età di 85 anni, quasi nell’indifferenza della stampa americana, i giapponesi alla notizia della sua scomparsa, gli resero più onore.

