Mauro De Mauro (Foggia, 1921 – Palermo, 1970) è stato un giornalista italiano, rapito da Cosa nostra e mai più ritrovato. Un giallo con troppi moventi, troppi mandanti occulti e nessun corpo su cui piangere.
Tra le varie ipotesi formulate sulle ragioni della sua sparizione figura anche quella relativa all’inchiesta sulla morte del presidente dell’ENI Enrico Mattei, secondo il giornalista dovuta a omicidio e non a incidente, una trama che si è intrecciata con altri affaire italiani quali il golpe Borghese.
De Mauro, dopo la seconda guerra mondiale, si era trasferito a Palermo con la famiglia, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e infine reporter del quotidiano della sera L’Ora, era anche corrispondente dall’isola de Il Giorno e della Reuters, insomma, un giornalista famoso e dal burrascoso passato nella Decima Mas.
Nel 1962 aveva seguito il caso sulla morte di Enrico Mattei, nel settembre del 1970 ritornò ad occuparsene nuovamente in seguito all’incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei, che sarebbe in seguito uscito nel 1972.
De Mauro aveva pubblicato, su L’Ora, il 23 ed il 24 gennaio 1962 il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la prima guerra mondiale, affiliato alla mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l’affiliazione, l’organigramma della società malavitosa.
Tommaso Buscetta, davanti ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindici anni dopo la scomparsa del giornalista, ebbe ad affermare che:
«… De Mauro era un cadavere che camminava. Cosa nostra era stata costretta a “perdonare” il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa».
Il rapimento di Mauro De Mauro
Mauro uscì dalla redazione de L’Ora, fermò la sua BMW davanti a un bar, comprò due etti di caffè macinato, due pacchetti di Nazionali senza filtro e una bottiglia di bourbon. Arrivato presso la sua abitazione in via delle Magnolie al civico 58 di Palermo, parcheggiò la sua auto, la figlia Franca e il fidanzato Salvo, che a breve avrebbero celebrato le loro nozze, lo stavano aspettando.
La figlia, nell’attesa che il padre raccogliesse le sue vettovaglie dal sedile della macchina, entrò nell’androne per chiamare l’ascensore, ma Mauro tardava a raggiungerli, non vedendolo arrivare uscì nuovamente dal portone, vide suo padre circondato da due o tre persone, senza identità. Poi sentì una voce gridare «Amuninni» (andiamocene), detta da qualcuno a suo padre poco prima di mettere in moto e ripartire senza lasciare traccia.
L’asfalto venne consumato dal rumore delle gomme. Franca vide la macchina sfrecciare via, il padre al volante concentrato sulla strada e neanche un cenno di saluto, solo un improvviso silenzio. Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe visto suo padre, poichè De Mauro non fece mai più ritorno a casa.
Passavano le ore, nessuno considerava l’ipotesi di un sequestro, e tantomeno immaginava la morte del giornalista. Altre volte si era assentato per lungo tempo, anche per tutta la notte, e specialmente in quel momento, De Mauro aveva in mano un colpo grosso, una di quelle storie che segnano la carriera, ed era probabile si fosse dovuto allontanare in fretta per delle nuove tracce da seguire.
Purtroppo quella volta era diversa dalle altre. Il primo a parlare della sparizione di De Mauro fu proprio il giornale per cui il giornalista scriveva da 11 anni, L’Ora, con un’edizione straordinaria dal titolo «AIUTATECI».
La sera successiva l’auto venne ritrovata a qualche chilometro di distanza in via Pietro D’Asaro, con a bordo le vettovaglie che il giornalista aveva acquistato rincasando. L’auto fu ispezionata con cura, il cofano fu aperto dagli artificieri, ma non furono reperiti elementi utili al rintraccio. Furono allestiti posti di blocco e si disposero minuziose ricerche, ma non portarono a nulla.

Ma chi erano quegli uomini? Da chi e perché erano stati mandati a prelevare Mauro De Mauro?
Domande che trovano come risposta solo un grande black out, fatto di silenzio, ricatti e depistaggi. Un vuoto di verità che riguarda non solo il movente del sequestro, ma anche il luogo in cui fu ucciso o abbandonato il corpo di De Mauro.
Un altro caso di sparizione che si aggiungeva ai trenta casi che andavano dal 1960 al 1970: tutti in silenzio, tutti senza tracce, tutti da un giorno all’altro. Come ricordò il fratello minore Tullio, Mauro non era affatto preoccupato e non aveva ricevuto alcuna minaccia o chiamata anonima.
Anzi, al contrario, era entusiasta e soddisfatto per la storia su cui stava lavorando, per il film di Rosi. Fu proprio De Mauro a seguire il discorso politico che Mattei tenne nel piccolo paese in provincia di Enna, a Gagliano Castelferrato, il giorno prima della sua morte.
E ci tornò dopo la caduta dell’aereo. «Lei casca bene – disse Mauro al regista – il mio giornale infatti mandò a Gagliano Castelferrato proprio me per raccogliere le impressioni della popolazione dopo la morte di Mattei».
Le indagini sulla sparizione del giornalista furono seguite sia dai carabinieri, secondo i quali sarebbe stato eliminato da Cosa Nostra in seguito ad indagini sul traffico di stupefacenti, sia dalla polizia, che ritenne piuttosto che la sua sparizione fosse collegata proprio alle sue ricerche sul caso Mattei.
Durante le indagini, si scoprì che dall’ufficio di De Mauro erano spariti dal suo cassetto alcune pagine di appunti e un nastro registrato con l’ultimo discorso tenuto proprio da Mattei. Secondo i familiari, il giornalista riascoltava quel nastro, datogli da un gaglianese, con metodicità quasi ossessiva, ripetutamente riavvolto per riascoltarne alcuni passaggi.
Il nastro però, non è mai stato ritrovato. Ma De Mauro ne aveva trascritto brani e preso appunti, e proprio uno di questi appunti recitava «Primo tempo arrivo ore 15, poi ultimo momento anticipato ore 10 perché notizia Tremelloni», il riferimento era ad un appuntamento imprevisto fra Mattei ed il ministro Roberto Tremelloni.
L’importanza del dato consiste nel fatto – di comune accezione presso gli inquirenti – che solo potendo conoscere in anticipo gli spostamenti del presidente dell’ENI – che non faceva mai sapere in anticipo cose del genere – si sarebbe potuto sabotare il suo aereo privato.
Dunque a Gagliano si sapeva di Tremelloni, si sapeva che questo appuntamento aveva costretto Mattei a programmare il volo per il pomeriggio, e così a Gagliano si poteva già desumere che si sarebbe potuto agire sull’aereo.
Il caso Mattei aveva lasciato aperti vari interrogativi e De Mauro – secondo diversi analisti – poteva esserci arrivato lavorando al film di Rosi, ricavando per deduzione quelle informazioni che, come ebbe a confidare a colleghi, avrebbero fatto tremare l’Italia.
Principale investigatore per l’Arma fu Carlo Alberto dalla Chiesa, per la polizia Boris Giuliano; anni dopo entrambi caddero, in circostanze diverse, per mano della mafia.
Comunque non tutto sembrava perduto, almeno fino a quel momento, si trovarono nel cassetto della sua scrivania, al giornale, degli appunti di De Mauro nei quali il giornalista citava i nomi di Eugenio Cefis (successore di Mattei all’ENI), di altri dirigenti dell’ENI e di alcuni esponenti politici siciliani; appunti che sarebbero rimasti in qualche modo nell’ombra per qualche tempo.
Nel cassetto fu rinvenuto anche un taccuino in cui era scritto: «Colpo di Stato! Colpo di Stato continuato – uomini anche mediocri ma di rottura – La guerra è un anacronismo», è probabile che si riferisse al golpe Borghese.
Il golpe Borghese fu un tentativo di colpo di Stato avvenuto in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, organizzato da Junio Valerio Borghese, fondatore del Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale. Dopo il fallimento del tentativo, vennero arrestate 48 persone accusate di cospirazione politica ma alla fine – come spesso succede in Italia – vennero tutte assolte con sentenza definitiva nel 1984.
In relazione al golpe Borghese già nel 1971, iniziarono a circolare voci di un collegamento fra il rapimento del giornalista e l’iniziativa del principe nero (Junio Valerio Borghese), fu la procura di Pavia, che nelle indagini sull’incidente di Bascapè (E. Mattei), mise in risalto come il caso De Mauro potesse risultare più opportunamente collegato al golpe Borghese che non al caso Mattei.
Il caso fu riaperto dalla Questura di Palermo nel 2001 in seguito alle dichiarazioni del pentito boss di Altofonte, Francesco Di Carlo, venne aperta la pista che conduceva al golpe.
Il pentito Francesco Mannoia si limitò a dire che «Non c’era solo l’interesse di Cosa nostra palermitana a eliminare Mauro De Mauro, l’interesse si allargava al triumvirato composto da Stefano Bontate, Salvatore Riina (sostituto di Luciano Liggio) e Gaetano Badalamenti. Ma anche cosa nostra americana».
Il giornalista era già tempo sorvegliato dai mafiosi. Avevano paura che scoprisse qualcosa sull’incidente al presidente dell’Eni? Probabilmente no, De Mauro non custodiva segreti su Mattei. Si era invece imbattuto in quell’altra storia, il colpo di stato, che coinvolgeva anche Cosa Nostra. I mafiosi avrebbero dovuto occupare la sede RAI di Palermo, le prefetture e le questure delle città siciliane.
Ordinarono il suo rapimento dopo un incontro a Roma con il principe Borghese e due alti ufficiali del SID, il servizio segreto militare di allora. Il golpe previsto per dicembre, aveva come nome in codice del piano insurrezionale «Tora Tora». Fu un omicidio preventivo, sostengono i magistrati nella ricostruzione sul sequestro del giornalista.
A soffocarlo furono Mimmo Teresi, Emanuele D’Agostino e Stefano Giaconia, picciotti di Santa Maria di Gesù, tutti e tre assassinati nella guerra di mafia degli anni 80.
Il processo iniziò nel 2006, che vide come unico imputato, l’unico sopravvissuto, il boss Salvatore Riina, che fu poi assolto il 4 giugno 2015 dalla Prima Sezione Penale della Cassazione che confermò l’assoluzione per non aver commesso il fatto.
Insomma, il caso De Mauro lascia ancora oggi tante incertezze su ciò che successe davvero. Resta il fatto che il collegamento con la morte di Mattei c’era, il collegamento con il colpo di stato c’era, ma la giustizia italiana non è riuscita, o forse non ha voluto, giungere alla conclusione; se c’è una vittima, c’è sempre anche un colpevole.
Sicuramente il giornalista non ha deciso autonomamente di svanire nel nulla. Il caso De Mauro si aggiunge, con amarezza, alla lista dei misteri che nasconde il nostro paese, misteri destinati a rimanere tali.