Tra il 1946 e il 1991, gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e gli alleati di entrambe le parti sono stati coinvolti in una lunga ed estenuante conflittualità nota come Guerra Fredda. La corsa agli armamenti nucleari stava diventando sempre più accanita e la minaccia di un possibile attacco nucleare era incessante per entrambe le parti.
La costante minaccia di un’improvvisa devastazione nucleare influiva sul modo di vivere dei cittadini. Vennero costruiti rifugi antiatomici, i bambini a scuola si esercitavano a nascondersi e il terrore di non sapere quando gli attacchi nucleari fossero alle porte rese l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti ancora più ostili l’uno verso l’altro.
Durante la Guerra Fredda, l’acquisizione di informazioni sull’avversario era molto importante, e cose come agenti segreti, diserzioni e divulgazione di informazioni e intercettazioni telefoniche erano all’ordine del giorno. Una delle intercettazioni più interessanti, è l’operazione Ivy Bells, avvenuta nelle profondità delle acque controllate dai sovietici.
Operazione Ivy Bells
L’operazione Ivy Bells è stata una missione congiunta tra la National Security Agency (NSA), la Marina degli Stati Uniti e la Central Intelligence Agency (CIA) volta a mettere sotto controllo le linee di comunicazione dei sottomarini sovietici nei primi anni Settanta. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti cercavano disperatamente di raccogliere qualsiasi informazione possibile sulla tecnologia missilistica e sottomarina che l’Unione Sovietica possedeva o stava ulteriormente sviluppando.
Gli Stati Uniti erano preoccupati soprattutto per i missili balistici intercontinentali (ICBM), che avevano una gittata di oltre 5.500 km (3.400 miglia) ed erano progettati per il lancio di armi nucleari, convenzionali, biologiche e chimiche. Oltre alla minaccia dei missili intercontinentali, c’era anche la minaccia reale della capacità di condurre un primo attacco da parte dell’Unione Sovietica.
La capacità di attaccare per primi è «la capacità di un Paese di sconfiggere un’altra potenza nucleare distruggendone l’arsenale fino al punto in cui il Paese aggressore può sopportare più facilmente una ritorsione depotenziata, lasciando la controparte nell’impossibilità di continuare la guerra». Il rischio che una delle due parti potesse sferrare per prima il colpo decisivo rappresentava una preoccupazione costante per entrambe le superpotenze.
L’operazione Ivy Bells nacque dal fatto che gli Stati Uniti vennero a conoscenza dell’esistenza di un cavo di comunicazione sottomarino che collegava la base sovietica della Flotta del Pacifico a Petropavlovsk, situata nella penisola di Kamchatka, e il quartier generale della Flotta a Vladivostok (una distanza di oltre 2.250 km). Il cavo attraversava il Mare di Okhotsk, che faceva parte delle acque territoriali sovietiche, dove le navi di altri Paesi non potevano entrare.
Gli Stati Uniti necessitavano dunque di ascoltare queste comunicazioni e per farlo dovevano prima intercettare il cavo. Tuttavia, entrare nel Mare di Okhotsk era molto rischioso poiché la Marina sovietica aveva posizionato una vasta rete di dispositivi per il rilevamento del suono lungo il fondale marino al fine di individuare eventuali intrusi che si fossero introdotti nei fondali. L’operazione Ivy Bells rappresentava però un punto cruciale per gli Stati Uniti: occorreva trovare in fretta una soluzione.
L’installazione
Nell’ottobre 1971, un sottomarino modificato, l’USS Halibut, fu spedito nelle profondità del Mare di Okhotsk. L’operazione Ivy Bells era talmente segreta che la maggior parte dei marinai che vi presero parte non disponeva delle autorizzazioni di sicurezza necessarie per conoscerla.

Gli Stati Uniti dichiararono di essere sul posto per raccogliere i detriti di un P-500 Bazal’t (nome in codice NATO: SS-N-12 Sandbox) sovietico, un missile antinave supersonico (AShM), affinché potessero sviluppare delle contromisure per proteggere le proprie navi in futuro.
Il recupero dell’SS-N-12 Sandbox ebbe successo con oltre due milioni di pezzi e frammenti, che in seguito furono inviati al Naval Research Laboratory degli Stati Uniti. Il missile riuscì anche a essere reingegnerizzato: la missione fu un successo anche senza considerare che si trattava di una versione di copertura.
I sommozzatori della USS Halibut, che si trovavano sul posto per lavorare all’operazione Ivy Bells, riuscirono a localizzare il cavo di comunicazione a 120 m di profondità e installarono un dispositivo lungo 6,1 m metri di lunghezza al cavo. Il dispositivo era stato progettato per avvolgere il cavo senza perforarne l’involucro consentendo di registrare tutte le comunicazioni che passavano attraverso la linea. Inoltre il dispositivo di registrazione era stato progettato per staccarsi dallo stesso se questo veniva sollevato per la riparazione o la manutenzione.
Ogni mese venivano inviati dei sommozzatori per recuperare le registrazioni e installare nuovi set di nastri. Le registrazioni venivano portate all’NSA per essere elaborate prima di essere inviate alle altre agenzie coinvolte nell’operazione Ivy Bells.
Ironicamente, gli Stati Uniti vennero a sapere che i sovietici erano convinti che il cavo fosse talmente sicuro da non ritenere necessario criptare i loro messaggi. Tra le informazioni di valore raccolte dalle intercettazioni figuravano anche quelle relative alle operazioni navali a Petropavlovsk. Si trattava di informazioni preziose perché era la base più importante per i sottomarini nucleari della Marina. inoltre a Petropavlovsk, si trovavano due sottomarini a propulsione nucleare con missili balistici.
Ronald Pelton
L’operazione Ivy Bells fu compromessa da un uomo di nome Ronald Pelton nel 1980. Ronald lavorava per l’NSA da 44 anni e parlava correntemente il russo; il punto era rappresentato dal fatto che era letteralmente sommerso dai debiti.
Aveva 65mila dollari di debiti e aveva persino presentato istanza di bancarotta personale tre mesi prima di dimettersi dall’NSA. Alla fine, disperato, Pelton si recò all’ambasciata sovietica di Washington e si offrì di vendere delle informazioni al KGB dietro compenso.
Il KGB avrebbe dato a Ronald Pelton 35mila dollari per le informazioni che gli avrebbe fornito dal 1980 al 1983. Invece, per le informazioni top secret fornite al KGB sull’Operazione Ivy Bells, gli furono corrisposti solo 5mila dollari.

Pur sapendo che il cavo era stato intercettato, l’Unione Sovietica attese fino al 1981 per adottare provvedimenti. Successivamente, in modo del tutto inaspettato, i satelliti statunitensi rilevarono la presenza di navi sovietiche, tra cui una grande nave di salvataggio, ancorate direttamente sul luogo in cui era stato effettuato lo spionaggio.
Gli Stati Uniti lanciarono la USS Parche per recuperare il dispositivo, ma non riuscirono a trovarlo. Si pensò dunque che i sovietici fossero riusciti a recuperare il dispositivo prima di loro. In realtà gli Stati Uniti non seppero che Robert Pelton avesse venduto le informazioni sull’operazione Ivy Bells fino al luglio 1985.
Vitaly Yurchenko, colonnello del KGB, è stato il primo contatto di Pelton a Washington nel 1985. Yurchenko disertò negli Stati Uniti e fornì informazioni sulle azioni di Pelton. Ciò portò all’arresto di Pelton e, poiché il reato violava direttamente la legge sullo spionaggio del 1917, fu perseguito pesantemente.
Il dispositivo di intercettazione e registrazione utilizzato dagli Stati Uniti durante l’Operazione Ivy Bells, è conservato nel Museo della Grande Guerra Patriottica di Mosca, in Russia, dove è esposto dal 1999. Il museo possiede la collezione più vasta al mondo di oggetti e di materiale della Seconda Guerra Mondiale e vale la pena di visitarlo se vi trovate a Mosca.