Per gli Antichi, l’Egitto faceva già parte dell’antichità. Erodoto, che visitò il Paese nel 450 a.C., ebbe ad esternare queste parole: “Esistono in Egitto meraviglie che non si trovano in nessun altro luogo“.
L’Egitto è così antico, che gli Egizi stessi non sapevano da dove venivano e dove fossero nati. Prima delle dinastie universalmente riconosciute, l’Egitto era governato da esseri semi-divini, in una imprecisata Età dell’Oro, ma chi erano realmente costoro? Ancora non si conosce la risposta.
Gli egittologi hanno potuto ricostruire la storia Egizia, a partire da un dato momento storico, grazie a liste di sovrani che sono contenute in diversi documenti (la Pietra di Palermo, il Canone di Torino, ad esempio), e da incisioni sulle pareti dei Templi, le cui Biblioteche erano piene di Testi e documenti preziosi. Unendo i frammenti di liste stilate nelle varie epoche, con i ritrovamenti archeologici, gli egittologi hanno ricostruito una mappa dinastica dell’impero egizio.
Il sacerdote Manetone, che visse all’incirca nel 300 a.C. – quando la civiltà Egizia volgeva verso il suo termine – compilò una storia completa dell’Egitto antico, basandosi su quanto si trovava nei Templi stessi. Purtroppo tale documento è giunto a noi incompleto e non nella sua forma originaria. Esso raggruppa i sovrani Egizi in trenta dinastie distinte e consequenziali, separate dai periodi ‘intermedi’, e termina con la data del 332 a.C., quando Alessandro Magno lo conquistò (mancano i sovrani seguenti ovviamente, che furono i Tolomei. Le gloriose dinastie egizie si conclusero nel 30 a.C. con la conquista dell’Egitto da parte dei Romani).
Tali documenti narrano tutti anche di un periodo antecedente all’elenco dei re storici, riportando informazioni relative ad un periodo nel quale avrebbero governato i semidei e poi figure chiamate Seguaci (o compagni) di Horus, forse re predinastici che si erano distinti in modo tale da assumere caratteristiche, per il popolo, non umane (divine, appunto). Ci sarebbe un computo totale di migliaia di anni, prima di Menes, il primo Re della lista di Abydos.
Nel tempio costruito dal faraone Sethi I (XIX dinastia), si ha un prezioso documento eternato su una delle pareti del tempio, in cui si vede il faraone che mostra al figlio giovinetto Ramsete II i 76 cartigli dei re che avevano governato l’Egitto fino a quel momento (ne sono esclusi sia la Regina-faraone Hatshepsut che i faraoni del periodo amarniano). Il primo di questi cartigli si riferisce ad un nome di re, Mene (o Menes, che taluni identificano con Narmer) che regnò all’incirca nel 3100 a.C.; secondo Manetone, fondò una dinastia e regnò per circa 60 anni, ricevendo la stima del popolo, fino a che un ippopotamo lo portò via. Mito e storia si intrecciano.
La cosiddetta preistoria Egizia è semisconosciuta ai più, potrebbe comunque ricollegarsi alle più note culture megalitiche di cui restano testimonianze in varie zone del nostro pianeta. Per trovare forse le prime tracce di una civiltà che in seguito avrebbe potuto originare quella dei faraoni, dovremmo spostarci ad un centinaio di chilometri dal Nilo, verso ovest, nel cuore del Sahara, dove fa talmente caldo che perfino la pioggia evapora ancor prima di giungere al suolo.
Un Team internazionale di archeologi (della Sudden Meddley University, Dallas, Texas) guidati dall’archeologo Fred Wandorf, hanno esplorato il deserto alla ricerca di tracce di antichi insediamenti umani. Nel 1974 localizzarono un antico insediamento vicino ad uno specchio d’acqua poco profondo che chiamarono Nabta Playa, nelle vicinanze dello Uadi Kabbaniya (circa un centinaio di chilometri a ovest di Abu Simbel). Bisogna dire che il Sahara non fu sempre così arido; i rilevamenti al radiocarbonio hanno evidenziato come, attorno all’8mila a.C., il monsone proveniente dall’Africa tropicale si spostò verso nord, causando l’aumento delle piogge sul deserto e favorendo la formazione di laghi stagionali.

Uno di questi era Nabta Playa e qui viveva una tribù (nomade?) che regolava la propria esistenza sulla pioggia, fonte della loro stessa sopravvivenza; poiché le piogge erano irregolari, se cessavano il lago si asciugava e poteva rappresentare la morte. Un archeologo dell’accademia polacca delle Scienze ha ritrovato uno straordinario insieme di pietre, una piccola Stonehenge, ma di duemila anni più antica, detta “Circolo Calendariale“. Sembra che queste pietre costituiscano uno dei più vecchi calendari dell’umanità, che serviva per calcolare la stagione delle piogge. E formata da megaliti detti menhir, disposti in un circolo centrale detto cromlech e con allineamenti di tipo radiale, simili a quelli che furono costruiti in Europa nel Neolitico. Nel circolo centrale erano poste due coppie di monoliti di cui una in direzione Nord-Est, cioè orientata al sorgere del sole nel solstizio di circa seimila anni fa. Era quindi una struttura per misurare il tempo, l’inizio dell’estate e delle grandi piogge in cui il sole era allo zenit del Tropico del Cancro. Il complesso anticipa di oltre mille anni quello di Stonehenge ed è nel suo genere il più antico del mondo.
Per edificare costruzioni megalitiche il popolo di Nabta Playa era organizzato socialmente, con conoscenze matematiche ed astronomiche, poiché recenti ricerche ipotizzano un collegamento con il movimento della costellazione di Orione e la precessione degli equinozi, mentre si ipotizza anche una connessione con l’Orsa Maggiore. Sostanzialmente i megaliti sono orientati a Nord, punto importante per gli Egizi dell’Antico Regno, che credevano che il defunto entrasse nella Duat proprio da nord dove, come recitano i Testi delle piramidi, le stelle non tramontano mai. Solo dopo alcuni secoli l’ingresso alla Duat verrà spostato ad Ovest.

Vennero trovate anche 30 costruzioni in pietra con pozzi per l’acqua, pozzetti per la conservazione di granaglie o per la cottura di cibi, focolari, pavimenti. Comparvero varie costruzioni megalitiche circolari o lineari, monoliti e numerosi tumuli circolari che corrispondevano a strane buche. I monoliti erano stati portati in questo luogo da una zona lontana, spendendo sicuramente forza lavoro e, presumibilmente, dietro ordine di un personaggio di rango. Ma perchè? Qual’era lo scopo?
Wendorf pensa che potessero contraddistinguere una sorta di tombe di personaggi illustri oppure che ne potessero celebrare gli spiriti. Ricordiamo che le antiche civiltà nacquero in condizioni ambientali ostili, e sicuramente un fattore era ad ognuno presente: il Caos (visto come insieme di elementi sfavorevoli), che doveva essere vinto poiché solo con l’ordine si poteva fare il volere degli dei. In ogni antica società, la figura del capo era necessaria per placare il Caos, e quindi c’era bisogno della manifestazione terrena di un dio, che verrà identificato con il faraone in età dinastica.

Uno dei massi più imponenti che venne all’attenzione di Wandorf appariva come un masso qualunque ma in realtà egli si accorse che era una scultura primitiva. Si ergeva a circa un metro dalla buca che era stata scavata, dove si doveva trovare un pozzo; si presentava smussata e lavorata, era una scultura notevole, che presentava le caratteristiche delle grandi pietre lavorate (megalitiche). Probabilmente databile al 7mila a.C.
Verso il 5mila a.C., la cultura che qui si era insediata, si trovò costretta a migrare in quanto le condizioni climatiche subirono un’altra mutazione: il monsone estivo si spostò verso sud e questo causò il cessare delle piogge nella zona, e oasi come Nabta Playa si seccarono per sempre. La gente probabilmente si spostò verso est, dove scorreva il grande Nilo. Qui, trovarono altre tribù? [Per gli interessati alle tracce di preistoria in Egitto, una missione italiana nell’oasi di Farafra, nel 2001, ha riportato interessanti collegamenti con la tribù di Nabta Playa].
Il Nilo è la linfa vitale dell’Egitto. Dalle sue sorgenti in Etiopia, scorre verso nord per 6500 chilometri prima di sfociare nella Valle del Nilo, lunga 900 chilometri; si ramifica a delta per un percorso di 160 chilometri e poi sfocia nel Mar Mediterraneo. Una volta all’anno le piogge facevano ingrossare le sorgenti etiopi e di conseguenza il Nilo aumentava la sua portata fino a inondare i campi, riversandovi una sostanza nerastra fertilizzante, il limo. Da qui pare che anticamente sia stato dato il nome Kemet=Terra Nera, all’Egitto. Ma le genti che si erano insediate sulle sue rive dovettero ben presto imparare a convivere con l’imprevedibile fiume, in quanto se le piene erano troppo intense potevano distruggere i raccolti, se troppo esigue, causare carestie e morte. Pertanto, fin da tempi remoti, i protoegizi fondarono un calendario basato non solo sul cosmo ma sul Nilo, di cui avevano distinto tre stagioni:
- quella dell’inondazione (piena)
- quella dell’emersione (la semina con il ritirarsi delle acque)
- quella della secca (raccolto), in cui il livello del Nilo era al minimo
Scavarono quindi pozzi, costruirono argini, applicarono i primi rudimenti di geometria per tracciare ogni anno i confini dei campi.
Tra il 5mila e il 4mila a.C. appaiono le prime tracce della civiltà Egizia, con vasellame dai decori raffinati spatole a forma di animale per mescolare i cosmetici, coltelli di pietra finemente lavorati e di inimitabile bellezza.
Quando si unificò l’Egitto, così come convenzionalmente lo intendiamo nella definizione della Storia della Cultura Egiziana?
Dai ritrovamenti effettuati in Egitto, si è potuto constatare come, già nel 3500 a.C., la città di Hieracompolis (l’antica Nekhen), la città del falco, capitale dell’Alto Egitto (porzione che si trova a sud del Paese), ospitava una civiltà agricola fiorente, piuttosto progredita, che produceva vasellame che per materiale e fattura era tecnologicamente migliore di quello di Buto, capitale del Basso Egitto (porzione del paese che si trova nei pressi del Delta del Nilo), rivale di Hierakonpolis.
Oggi è scomparsa l’antica struttura delle due città, per molto tempo si è ritenuto che il loro territorio non avesse più nulla da rivelare; ma non è così. I ritrovamenti degli ultimi decenni hanno permesso di capire che l’insediamento di Hierakonpolis si estendeva per oltre tre chilometri e che rappresentava uno dei centri più importanti lungo il Nilo. Nel 1985 furono scoperte grosse buche che dovevano ospitare altrettanto grossi pali lignei, facendo ipotizzare che la struttura (debitamente ricostruita dagli archeologi in base ai ritrovamenti in loco) costituisse l’intelaiatura di un sacrario, la facciata di uno dei templi più antichi di tutto l’Egitto, che dominava la città. Sembra che la sua forma ricalcasse quella di un animale.
Anche a Buto sono stati ritrovati reperti appartenenti ad una cultura antecedente il 3500 a.C., ma come abbiamo detto la tecnologia era più scadente di quella che rivelano i manufatti rinvenuti ad Hierakonpolis. Le due culture vennero in contatto, pensano gli studiosi, ad un certo momento della storia umana, ma quando? E in modo cruento o indolore avvenne la fusione?
Non lo si sa con certezza, ci si deve basare sui dati a disposizione riportati alla luce finora. A Hierakonpolis, che sembra fosse la capitale del sud in quel periodo, si sono trovate raffigurazioni di un re, chiamato il re Scorpione poichè mancherebbe una traduzione fonetica del suo nome (simboleggiato da uno scorpione appunto), che combatte gli egiziani. Sembra che il potere del re Scorpione si sia esteso fino a nord di Menfi, mentre il re che unificò l’Egitto sarebbe stato Narmer, il suo successore.
Uno dei pezzi più importanti e famosi che attesterebbe l’unificazione del Nord e del Sud è la tavolozza di Narmer (forse è lo stesso Mene, il primo faraone riportato sul primo cartiglio dei 76 rinvenuti sulle pareti del Tempio di Abydos?), la quale presenta aspetti interessanti da più punti di vista. Anzitutto è qualitativamente pregevole, eseguita con abilità tecnica mirabile (per essere in fondo una tavolozza che apparterebbe al periodo predinastico); in essa compaiono già dei geroglifici (come il falco e il nome del faraone) e su una faccia presenta il re con la corona bianca dell’Alto Egitto (Narmer ne era -infatti- il sovrano) che sottomette un asiatico (popolazione che si era insediata nel Delta) e dalla parte opposta il re porta la corona rossa, simbolo del Basso Egitto, quindi si deduce che egli fosse sovrano del regno unificato. I colli intrecciati di due leoni (così vengono identificati), confermerebbero ulteriormente questa unificazione.
L’evento viene datato attorno al 3100 a.C. Quello che potrebbe interpretarsi come un fatto di auto glorificazione del re Narmer, sarebbe un fatto storico certo. Un altro reperto,infatti, ritrovato ad Abydos ne sarebbe la dimostrazione. I primi re Egiziani venivano sepolti qui. Sotto cumuli di cocci, nel 1977 l’archeologo tedesco Gunther Dreyer pensò si potesse trovare la traccia di qualcosa di importante e fece riaprire gli scavi. Sotto mucchi di detriti e cocci, il suo team individuò delle tombe di una dinastia che fino a quel momento era sconosciuta e che chiamò dinastia zero.
Sostenendo di aver trovato anche la tomba di re Narmer, nei pressi della quale trovò una etichetta d’avorio (che veniva apposta sulle giare d’olio e che attestavano l’anno di regno di quel sovrano) che pare raffigurare proprio l’evento riprodotto sulla tavolozza di Narmer. Anche qui, pur se incompleta, l’archeologo sostiene che è raffigurata la vittoria del re dell’Alto Egitto sui popoli del Delta. Se questo ci indica che a quel momento i regni erano unificati, non si può comunque dire con certezza se – prima di tale evento – il processo di unificazione non fosse già in atto, magari da tempo.
Sotto quei cumuli di cocci, all’interno di tombe sconosciute, l’archeologo tedesco fece scoperte ancor più sorprendenti della precedente: tavolette con caratteri geroglifici che costituirebbero la prova che quel popolo aveva ideato un sistema di scrittura molto prima di quanto si pensasse, ma anche prima dei Sumeri della Mesopotamia. La tavoletta appartenente a questi ultimi, datata come la più antica, mostra un sistema di calcolo semplice basato su figure e numeri.
Le tavolette Egizie, invece, contenevano già delle figure che indicano suoni, come gli alfabeti moderni. I geroglifici in esse raffigurati sono dei suoni. Gli egittologi sono riusciti a tradurre il simbolo del cobra e quello dei due triangoli con la parola giù e montagna (“le montagne delle tenebre” e trattandosi di tombe l’interpretazione potrebbe non essere fuori luogo). I geroglifici di altre placchette indicano che il re riscuoteva tasse sia dall’Alto che dal Basso Egitto, segno che il popolo era unificato in quel periodo.
Una delle città più antiche è Menfi, che fu fondata dai re della prima dinastia; oggi restano poche rovine e nessuna risale al tempo di Narmer. Dopo il primo periodo di regno di sovrani su cui si sa ancora poco, si assiste all’esplosione della civiltà Egizia così come la conosce il mondo intero, ben strutturata e gerarchizzata.