Oggi i film si guardano su tablet e smartphone. Una volta invece si andava al cinematografo, sotto una tenda in campagna o nelle sale di città immerse dai fumi delle sigarette.
Gli spettatori paganti in tutto erano trentatré. Seduti nella stanza buia di una malfamata sala da biliardo parigina, assistevano a quella che gli storici considerano la prima proiezione pubblica col cinematografo. All’improvviso un raggio di luce uscì da un baldacchino di velluto rosso e colpì uno schermo.
Poi fu magia: per 50 secondi apparvero gli operai della fabbrica Lumière di Lione mentre uscivano dalle officine. Mai prima di quel momento si erano viste immagini muoversi con tanta precisione. Correva l’anno 1895 e la settima arte muoveva i suoi primi passi in una società in profonda trasformazione economica, culturale e tecnologica, dando vita a un nuovo intrattenimento: il cinema.
Assistere alle proiezioni, nel giro di pochissimi anni, divenne un passatempo irrinunciabile, gradito a tutti i ceti sociali. Ma cosa significava esattamente andare al cinema in quegli anni?
La sala cinematografica smontabile
In principio voleva dire recarsi alle fiere di paese che ospitavano le prime proiezioni itineranti, sulla scia dei già noti giochi di luce proposti dalle lanterne magiche. Si entrava in un tendone e si assisteva alla proiezione. Poi il tendone si smontava e la sala cinematografica spariva. Non ci volle molto però perché le immagini in movimento raggiungessero anche i teatri, intercettando così un pubblico più selezionato.
A un anno dalla prima esibizione francese del 1895, Vittorio Calcina, responsabile della filiale italiana della ditta Lumière a Torino, organizzò una proiezione al Palazzo degli Stemmi di via Po, invitando le più importanti personalità.
Al teatro dell’Opera di Roma, poco prima, c’era stata un’esibizione simile a cui venne abbinata anche una conferenza scientifica per spiegare al pubblico la nuova tecnologia. Conferenza alquanto noiosa, secondo un cronista del tempo. A differenza della proiezione, assolutamente affascinante.
Musica e didascalie
I primissimi film erano muti e duravano al massimo 10 minuti, ma già a partire dal 1910 un lungometraggio poteva durare 50 minuti. Questo significava che in sala regnava il silenzio per quasi un’ora? Niente affatto. Ad accompagnare la pellicola c’era di solito un’orchestrina che interpretava la colonna sonora (spesso composta appositamente).
A volte c’era anche un uomo, di solito il gestore della sala, incaricato di leggere le didascalie agli spettatori, tra i quali c’erano molti analfabeti, e di spiegare alcune scene. Nelle sale più grandi c’erano vere orchestre e persino un coro sotto il palco o dietro lo schermo.
Le pellicole erano girate in bianco e nero, ma venivano successivamente colorate con tonalità che viravano sul rosso nelle scene di amore e passione e sul blu nelle sequenze che simulavano la notte. All’inizio venivano proiettate in vecchi teatri e in magazzini adattati.
Ma c’erano anche spazi costruiti apposta: a inizio Novecento a Torino si aprì l’Ambrosio, una sala del muto inserita in un fastoso complesso che includeva anche un caffè, un ristorante, sala da ballo e da gioco.
Tutto ovviamente in stile liberty. Invece nelle sale di periferia, ricavate in spazi di fortuna, con poche lire si poteva assistere a proiezioni di serie B che ogni pomeriggio e ogni sera ospitavano decine di spettatori.
Arrivano le sale cinematografiche
Negli anni Venti in Italia si cominciarono a costruire sale su larga scala, sull’onda degli ottimi ricavi e dell’impulso che il fascismo diede alla settima arte come strumento di propaganda. Ogni cinema aveva il suo stile e il suo pubblico: c’era quello che proiettava solo film western, musical, commedie o i primi colossal storici. Alcune sale ospitavano le prime visioni; altre, come quelle delle parrocchie, seconde o terze.
Le sale più belle avevano nomi altisonanti e insegne evocative: Lux, Eden, Aurora, Moderno. A Rimini c’era il Fulgor, reso immortale da Fellini e dalla signora Gradisca nel film Amarcord (1973). A 40 anni di distanza il regista lo ricordava ancora così: «Sotto lo schermo c’erano le pancacce (panche). Poi uno steccato, come nelle stalle, divideva i popolari dai distinti. Noi pagavamo undici soldi; dietro si pagava una lira e dieci» (cioè meno di un euro di oggi).
Caramelle si, ma è ancora presto per i pop corn
Tanto i distinti che i popolari vicino alla cassa potevano trovare, entrando, un’ampolla in vetro trasparente con alcune caramelle, vendute al costo di 1 lira: la moda dei pop corn si diffonderà in Italia solo a partire dagli anni Sessanta.
Pagato il biglietto, tutti si sedevano. Chi non trovava posto stava in piedi o si metteva sugli scalini. Le norme di sicurezza ancora non c’erano. Il pubblico si disponeva secondo regole non scritte: i bambini sempre nelle prime file, a metà le coppie sposate, in fondo gli uomini soli. E il rito della visione era completamente diverso rispetto a oggi.
Si poteva entrare in qualsiasi momento (non era obbligatorio l’ingresso prima dell’inizio della proiezione), poi si aspettava in sala che cominciasse il nuovo spettacolo e si recuperavano le scene perse. Il tutto in un’aria irrespirabile: il divieto di fumare fu introdotto soltanto nel 1975, seppure a lungo ignorato.
Nella nebbia delle sigarette
Si apriva il sipario e nel grande cono di luce iniziava a fluttuare il fumo delle sigarette, accese in continua intermittenza come lucine del presepio. Fumavano gli uomini che per tutta la durata del film tenevano il cappello in testa come Humphrey Bogart, imbacuccati in cappotti pesanti. Fumavano i ragazzi della galleria, cercando di non farsi scoprire dai padri fumatori e fumavano le ragazze più emancipate, lanciando nel buio i primi messaggi di libertà. Era tutta una storia di fumo.
I racconti di quegli anni sono numerosissimi. Italo Calvino rievocò l’esperienza del cinematografo così: «Cinema vuol dire sedersi in mezzo a una platea di gente che sbuffa, ansima, sghignazza, succhia caramelle, ti disturba, entra, esce, magari legge le didascalie forte come al tempo del muto; il cinema è questa gente, più una storia che succede sullo schermo».
Insomma, c’era parecchia confusione, ma il fascino di quel rito era enorme. E tale rimase fino agli anni Sessanta. Cioè fino a quando, con la diffusione della televisione prima e delle videocassette poi (per non parlare di DVD e film digitali), andare al cinema è progressivamente diventato uno dei tanti intrattenimenti a disposizione, ridimensionato nel suo ruolo e nel suo peso sociale.
Non è più come una volta
Oggi, anche le sale hanno cambiato pelle. Molti spazi hanno variato la loro destinazione d’uso: dove prima c’era un cinema oggi c’è un supermercato o un centro commerciale. E a centri commerciali somigliano i multisala. Eppure, assicurano i più ottimisti, a essere morto non è il cinema, ma soltanto la vecchia, romantica, sala cinematografica.