Il 25 agosto 1951 intorno alle 21:20, il dottor A. G. Oberg, chimico, il dottor W.I. Robinson, geologo e l’ingegnere minerario W.L.Ducker, tutti del Texas Technological College, si stavano tranquillamente sorbendo un tè in casa del dottor Robinson, alla periferia di Lubbock in Texas.
Argomento della conversazione, le micrometeoriti, che avrebbero potuto ostacolare i viaggi interplanetari. Quasi in risposta ai dubbi dei presenti, in quel momento comparvero improvvisamente in cielo una trentina di globi azzurrognoli in una formazione a V, che puntavano rapidissimi verso sud.
Il gruppo di studiosi, sbalordito, rimase qualche istante a guardare quegli oggetti, che in pochissimi secondi avevano attraversato il cielo limpido e stellato «a 40 gradi sopra l’orizzonte». «Probabilmente torneranno», esordì uno del gruppo. Non si sbagliava.
All’incirca un’ora dopo le strane luci ricomparvero. Sembravano esser diminuite e viaggiavano in gruppo serrato, non più in formazione. Le misteriose luci ricomparvero anche nelle notti successive (quindi non erano meteoriti) al punto che, si sparse la voce sulle Lubbock Lights, e ben presto si contarono non meno di 350 testimonianze.
Robinson, fra agosto e novembre, fu spettatore del passaggio di ben 12 formazioni composte ogni volta mediamente da 20 oggetti. Il 31 agosto una matricola del Texastech, Carl Hart, in paziente attesa degli oggetti con una Kodak 35, riuscì a scattare cinque immagini a tre diverse formazioni a V, le foto furono pubblicate dal giornale locale e successivamente fecero il giro del mondo.

Qualche giorno dopo, la sera del 5 settembre, vi fu un nuovo avvistamento, ancora da parte dei professori che avevano osservato per primi le luci. I tre docenti si trovavano insieme ad altri due colleghi (il fisico E.L. George e il geologo Grayson Mead) quando osservarono il passaggio di 12-15 luci.
Il prof. Mead riferì che si trattava di oggetti circolari, più piccoli della Luna piena, con un colore verde-bluastro leggermente fluorescente. I professori stimarono che gli oggetti luminosi si trovavano ad un’altezza di circa 600 metri e si muovevano ad una velocità superiore ai 900 Km/h.
I cinque scatti di Hart intanto, misero in allarme l’U.S. Air Force. In merito alla vicenda, il capitano Edward J. Ruppelt, capo del nuovo progetto Grudge (qualche mese dopo rinominato progetto Blue Book) si recò a Lubbock per intervistare i testimoni dell’avvistamento.
L’ufficiale apprese che nelle strade di Lubbock erano state installate da poco lampade fluorescenti ai vapori di mercurio. Quindi l’USAF arrivò alla conclusione che gli oggetti osservati erano uccelli (anatre o più probabilmente pivieri) che attraversavano il cielo di Lubbock nel corso della migrazione annuale e la sera riflettevano la luce dei nuovi lampioni stradali. Interpellato dalla stampa, si scaricò la coscienza restando ambiguo: «Nulla prova che le fotografie siano un falso ma nulla ci ha per ora provato che siano autentiche».
In seguito, nel suo libro pubblicato nel 1956, Ruppelt scrisse che non si trattava di uccelli migratori, di aerei o di navi spaziali, ma di un fenomeno naturale; l’ufficiale disse di averlo appreso dal colloquio con uno scienziato che voleva restare anonimo e pertanto non poteva dire di più per non rivelare l’identità di questo luminare.
Le foto, che finiranno presto in tutti i libri di ufologia, e che ispireranno persino un episodio dei telefilm Project UFO, costringeranno la CIA a scendere in campo per fare luce sui misteriosi avvistamenti.
Sarà Donald Menzel uno dei più accaniti distruttori del caso Lubbock. Verso la fine del ’51 esordì con la sua teoria dei miraggi per inversione della temperatura atmosferica, tesi demolita in seguito dal matematico francese Aimè Michel. Con la solita arroganza, tipica di Menzel, che non aveva visto di persona il fenomeno, pretendeva di giudicare meglio dei 4 pezzi da novanta dell’Università del Texas. Tuttavia, i giornali abboccarono.
Secondo Menzel, gli UFO non sono altro che errori di interpretazione di fenomeni prosaici come stelle, pianeti, nubi, aerei e palloni sonda; in alcuni casi possono essere fenomeni atmosferici non comuni con cui la gente non ha familiarità, come ad esempio i pareli.
In laboratorio Menzel, servendosi di un fascio di luce proiettato in un cilindro pieno di benzolo ed acetone, riusciva a creare delle macchie di luce a forma discoidale. Se la mistura da laboratorio veniva agitata, le macchie si spezzettavano, creando l’effetto luci di Lubbock. Molto probabilmente fu la scoperta dell’acqua calda.
Un esperimento totalmente privo di significato, che colpì però l’immaginazione (e l’ignoranza) della stampa, che si prestò così a smontare il caso. Durante l’esperimento, Menzel commentò:
«Osservando la macchia di luce proiettata su quella specie di schermo fluido, non vidi un cerchio luminoso, ma un oggetto marcatamente ellittico, ossia un perfetto disco volante».
«Che scoperta! – commenterà argutamente Renato Vesco in Operazione plenilunio – L’immagine non era che il prodotto della sezione parallela alla base di un cilindro obliquo, cioè del fascio luminoso inclinato!».
C’è da chiedersi come mai, fra tanti geni della scienza, nessuno si sia accorto dell’errore fatto in partenza da Menzel.