La Seconda guerra mondiale ha devastato la vita di oltre 100 milioni di persone in tutto il mondo. Tra tutte le aree in cui si è combattuto questo conflitto, il Teatro del Pacifico è stato il luogo di alcune delle più sanguinose e cruente battaglie, che si è protratto dal 1941 al 1945.
La storia della guerra nel Pacifico è spesso vista come iniziata con l’attacco di Pearl Harbor nel 1941, ma in realtà il Giappone era già in conflitto con la Cina da quattro anni. L’occupazione della Manciuria nel 1931 aveva segnato il primo passo verso l’espansione imperiale giapponese, che si era intensificata con l’invasione della Cina continentale nel 1937.
I disordini e gli sconvolgimenti provocati da queste invasioni scossero la Cina fino alle sue fondamenta, scatenarono una guerra civile e una carestia, che probabilmente uccise più persone di quante ne vivano attualmente in Canada e in Australia messe insieme. La situazione si stabilizzò solo dopo l’intervento dell’Unione Sovietica, che “liberò” la Cina nel 1945.
Tra tutte le atrocità che il Giappone imperiale perpetrò nei confronti del popolo cinese durante questa brutale occupazione, probabilmente nessuna fu così tremendamente odiosa e criminale come quella delle operazioni dell’Unità 731, l’unità di guerra biologica nipponica che, in qualche modo, penetrò ulteriormente in quella che era già una guerra genocida.
Nonostante gli inizi inoffensivi come agenzia di ricerca e di salute pubblica, l’Unità 731 si trasformò in una catena di montaggio per la produzione di malattie batteriologiche che, se fossero state utilizzate appieno, avrebbero potuto uccidere molte volte tutti gli abitanti della Terra.
Tutto questo “progresso” venne costruito, evidentemente, sulla base delle infinite sofferenze dei prigionieri cinesi, che venivano detenuti come cavie e incubatori ambulanti di malattie, fino a quando l’Unità 731, non venne dismessa con la fine della guerra.
Ma prima che l’Unità 731 venisse smantellata nel 1945, portò avanti alcuni degli esperimenti sugli esseri umani più strazianti della storia.

Esperimenti dell’Unità 731
Test del congelamento
Yoshimura Hisato, un fisiologo assegnato all’Unità 731, si interessò in modo particolare all’ipotermia. Hisato immergeva sistematicamente gli arti dei prigionieri in una vasca piena di ghiaccio e li teneva immobilizzati fino a quando il braccio o la gamba non si fossero congelati formando uno strato di ghiaccio sulla pelle. Secondo il racconto di un testimone oculare, gli arti emettevano un suono simile a quello di una tavola di legno quando venivano percossi con un bastone.
Hisato provò successivamente diversi metodi per riscaldare rapidamente gli arti congelati. A volte lo faceva immergendo l’arto nell’acqua calda, a volte tenendolo vicino al fuoco vivo e altre volte lasciando il soggetto senza nessun trattamento per tutta la notte. La procedura serviva a capire quanto tempo impiegasse il sangue del soggetto a scongelarlo.
La vivisezione dei prigionieri coscienti
L’Unità 731 era nata come unità di ricerca, per lo studio degli effetti delle malattie e per le possibili lesioni subite da un’unità da combattimento di una forza armata. Uno dei componenti dell’unità, chiamato “Maruta”, si spinse un tantino oltre i consueti limiti dell’etica medica, arrivando ad esaminare le ferite e il decorso delle malattie sui pazienti ancora in vita.
All’inizio, questi soggetti erano volontari provenienti dai ranghi dell’esercito, ma quando gli esperimenti iniziarono a raggiungere i limiti di ciò che poteva essere analizzato in modo non invasivo, e la disponibilità di volontari si esaurì, l’unità passò allo studio dei prigionieri di guerra cinesi e dei prigionieri civili.
E mentre il concetto di consenso usciva dalla finestra, anche i ricercatori si limitavano a farlo. Fu in quel periodo che l’Unità 731 iniziò a chiamare i soggetti di ricerca reclusi ” Tronchi“, o “Maruta” in giapponese. I metodi di studio di questi esperimenti iniziarono a essere estremamente barbari.
La vivisezione, ad esempio, consiste nel sezionare il corpo umano, senza anestesia, per studiare il funzionamento degli apparati vitali. Migliaia di uomini e donne, per la maggior parte prigionieri dei comunisti cinesi, ma anche bambini e anziani contadini, vennero infettati con malattie come il colera e la peste, per poi essere sottoposti all’asportazione degli organi per essere esaminati prima della morte, e con lo scopo di studiare gli effetti della malattia in assenza del processo di decomposizione che si sarebbe verificato dopo la morte.
Ai soggetti venivano amputati gli arti, che venivano poi riattaccati dalla parte opposta del corpo, mentre ad altri – gli arti – venivano frantumati o congelati, oppure gli veniva interrotta la circolazione del sangue per poter osservare il progredire della cancrena.
Infine, quando il corpo del prigioniero era completamente esaurito, in genere veniva sparato o ucciso con un’iniezione letale, sebbene alcuni potevano addirittura venire sepolti vivi. Nessuno dei prigionieri cinesi, mongoli, coreani o russi destinati all’Unità 731 superò la prigionia.

Gli orribili test con le armi dell’Unità 731
L’efficacia delle varie armi era di ovvio interesse per l’esercito giapponese. Per determinare tale efficacia, l’Unità 731 radunava i prigionieri in un poligono di tiro e li colpiva da varie distanze con le stesse armi in dotazione all’esercito giapponese, come la pistola Nambu da 8 mm, i fucili a otturatore, le mitragliatrici e le granate. I modelli di ferita e le profondità di penetrazione, venivano poi confrontati sui corpi dei detenuti morti o in fin di vita.
Anche le baionette, le spade e i coltelli venivano studiati con questo metodo, ma per questi esperimenti, le vittime venivano solitamente immobilizzate. Furono testati anche i lanciafiamme, sia sulla pelle vestita che su quella esposta. Inoltre, venivano allestite camere a gas presso le strutture dell’unità e i soggetti sottoposti ai test, venivano esposti al gas nervino e agli agenti urticanti.
Tuttavia i test non finivano qui. Si facevano cadere degli oggetti pesanti sulle vittime legate, test che serviva per studiare le lesioni da schiacciamento. Altri soggetti – proprio per non dire cavie – venivano rinchiusi e privati di cibo e acqua, questo sarebbe dovuto servire a comprendere, quanto a lungo gli esseri umani potessero sopravvivere senza di essi.
Inoltre, si lasciava che le vittime bevessero solo acqua di mare o gli si facevano iniezioni di sangue umano o animale, ovviamente non compatibile, per sperimentare le trasfusioni e il processo di coagulazione.
Nel frattempo, l’esposizione prolungata ai raggi X, sterilizzava e uccideva migliaia di partecipanti alla ricerca, oltre a infliggere orribili ustioni quando le piastre di emissione venivano calibrate male o tenute troppo vicine al pettorale, ai genitali o al viso dei soggetti.
Per studiare gli effetti delle forze G sui piloti e sui paracadutisti in caduta, il personale dell’Unità 731 caricava gli esseri umani in grandi centrifughe e li faceva ruotare a velocità sempre più elevate, finché non perdevano conoscenza o morivano, cosa che di solito avveniva intorno ai 10-15 G. Durante gli esperimenti si constatò che i bambini piccoli, avevano una tolleranza minore alle forze di accelerazione.
Esperimenti con la sifilide sui prigionieri dell’Unità 731
Le malattie veneree sono state la rovina dei militari dell’esercito fin dall’antico Egitto, ed è quindi scontato che i militari giapponesi si interessassero ai sintomi e al trattamento della sifilide.
Per apprendere ciò che era necessario cercare di sapere, i medici assegnati all’Unità 731 infettarono le loro vittime con la malattia e non le curarono in modo da esaminare il decorso ininterrotto della malattia. Un trattamento contemporaneo, ovvero un agente chemioterapico primitivo chiamato Salvarsan, veniva talvolta somministrato per un periodo di mesi per osservarne gli effetti collaterali.
Per assicurare una corretta trasmissione della malattia, si ordinava ai soggetti di sesso maschile affette da sifilide di violentare le detenute, sia femmine che maschi, che successivamente venivano monitorate per studiare l’insorgere della malattia. Se la prima infezione non riusciva a svilupparsi, si organizzavano altri stupri fino a quando non fosse stata trasmessa.
Lo stupro e la gravidanza forzata
Oltre agli esperimenti sulla sifilide, gli stupri diventarono una pratica comune degli esperimenti dell’Unità 731. Ad esempio, le prigioniere in età fertile venivano occasionalmente ingravidate con la forza per poter effettuare esperimenti con armi e traumi sul loro corpo. Dopo essere state infettate da varie malattie, esposte ad armi chimiche o aver subito ferite da schiacciamento, da proiettile e da schegge, i soggetti in gravidanza venivano aperti per studiarne gli effetti sui feti.
Inizialmente, l’idea, sembrerebbe sia stata quella di trasferire le scoperte di queste équipe, alla medicina pubblica, ma sembra che, qualora i ricercatori dell’Unità 731 abbiano mai pubblicato questi risultati, questi non siano sopravvissuti al periodo della guerra.

La guerra batteriologica sui civili cinesi
La finalità della ricerca dell’Unità 731, era quella di contribuire ad una missione più ambiziosa, che nel 1939, consisteva nello sviluppo di terribili armi di distruzione di massa da utilizzare contro la popolazione cinese e, presumibilmente, contro le forze americane e sovietiche, se mai fosse giunto quel momento.
A questo scopo, l’Unità 731 esaminò decine di migliaia di prigionieri in diverse strutture della Manciuria, che era stata occupata dalle forze imperiali nel corso degli anni. I detenuti di queste strutture furono infettati con diversi agenti patogeni tra i più letali conosciuti fino a quel momento dalla scienza, come la Yersinia pestis, che causa la peste bubbonica o polmonare, e anche il tifo, che i giapponesi speravano si propagasse da persona a persona dopo la diffusione spopolando le aree contese.
Per riprodurre i ceppi più letali possibili, i medici monitoravano i pazienti per rilevare la rapidità con cui i sintomi si manifestavano e i tempi di progressione. Le vittime che riuscivano a sopravvivere venivano fucilate, mentre coloro che si ammalavano più rapidamente venivano sottoposti a un processo di dissanguamento su di un tavolo mortuario, dopodiché il loro sangue veniva utilizzato per infettare altri prigionieri. I soggetti più malati di questi ultimi, sarebbero stati a loro volta dissanguati per trasmettere il ceppo più virulento all’ennesima generazione.
Un membro dell’Unità 731, ricordò in seguito che i prigionieri estremamente malati e senza possibilità di recupero venivano fatti sdraiare su un lettino in modo da poter inserire un tubo nell’arteria carotidea. Quando la maggior parte del sangue fosse stata travasata e il cuore fosse ormai troppo debole per pompare ancora, un ufficiale con gli stivali di pelle saliva sul tavolo e saltava sul petto della vittima con una forza tale da frantumare la cassa toracica; a quel punto sgorgava l’ultima goccia di sangue nel contenitore.
Quando il batterio della peste era stato sviluppato fino a raggiungere un grado sufficientemente letale, l’ultima generazione di vittime infette veniva esposta a un enorme quantità di pulci, il miglior vettore di contagio di Yersinia pestis. Le pulci venivano successivamente ridotte in polvere e impacchettate all’interno di contenitori per la creazione delle bombe di argilla.
Il 4 ottobre 1940, i bombardieri giapponesi lanciarono questi contenitori, ciascuno carico di 30mila pulci che avevano succhiato il sangue da un prigioniero morente, sopra il villaggio cinese di Quzhou. I testimoni di questo raid, ricordano che una sottile polvere rossiccia si depositò sulle superfici di tutta la zona, seguita da un’ondata di dolorosi morsi da pulci che tormentarono quasi tutti.
Dai resoconti contemporanei, è noto che più di 2mila civili morirono di peste in seguito a questo attacco, e che altri 1.000 circa, morirono nella vicina Yiwu dopo che la peste fu portata nella zona dai dipendenti delle ferrovie ormai ammalati. In altri attacchi, fu utilizzato l’antrace, che uccise circa altre 6mila persone nell’area.
Qualche anno dopo, mentre la guerra si avvicinava alla fine, il Giappone progettò di bombardare anche l’America con le pulci della peste, tuttavia non ne ebbe l’occasione. Nell’agosto del 1945, dopo che Hiroshima e Nagasaki erano state entrambe bombardate, l’esercito sovietico aveva invaso la Manciuria e annientato completamente l’esercito giapponese. Di seguito, l’imperatore recitò alla radio la sua famigerata dichiarazione di resa e l’Unità 731 fu ufficialmente sciolta.
La maggior parte dei registri fu bruciata, distruggendo ogni informazione utile che il barbaro team era riuscito a generare in 13 anni di ricerca. I ricercatori tornarono per la maggior parte alla propria vita civile nel Giappone occupato proprio come se nulla fosse accaduto, mentre numerosi di loro divennero membri di spicco delle facoltà universitarie.
Ancora oggi, il Giappone non si è mai scusato e nemmeno la Cina ha perdonato le innumerevoli atrocità che le forze giapponesi hanno commesso nel proprio Paese tra il 1931 e il 1945. Poiché gli ultimi testimoni di questa storia invecchiano e muoiono, è possibile che la questione non venga mai più affrontata.
Se da un lato condanniamo gli scellerati esperimenti dell’Unità 731 giapponese, dall’altro abbiamo la grazia concessa a questi carnefici dal governo degli Stati Uniti in cambio dei dati relativi agli esperimenti sull’uomo, che si collocano ai primi posti tra i peggiori crimini contro l’umanità della Seconda Guerra Mondiale.
Con molta probabilità, ci è stata presentata una visione distorta della Seconda guerra mondiale in cui gli Alleati sarebbero sempre stati i buoni.