L’Uomo di Piltdown è l’oggetto di una famosa truffa paleontologica perpetrata nel 1912 in Inghilterra, riguarda il ritrovamento di falsi resti fossili spacciati come appartenenti a una sconosciuta specie di ominide.
La beffa dell’Uomo di Piltdown è stata forse la maggiore truffa antropologica della storia e ha avuto particolare rilievo per due motivi: la focalizzazione dell’attenzione sugli studi dell’evoluzione umana e il fatto che siano passati oltre quarant’anni dalla presentazione della scoperta al definitivo riconoscimento della sua natura di falso.
Il 21 novembre 1953 una comunicazione ufficiale del British Museum e degli scienziati Sir Wilfrid Edward Le Gros Clark e Joseph Weiner diede il via ad un vero e proprio scandalo che portò addirittura alcuni deputati a presentare, durante una burrascosa seduta alla Camera dei Comuni, una mozione per togliere la fiducia ai sovrintendenti del British Museum, tra cui vi erano Churchill, l’Arcivescovo di Canterbury e un membro della Casa Reale. La comunicazione stabiliva ufficialmente che il cosiddetto Uomo di Piltdown, considerato il primo inglese vivente, possibile anello di congiunzione tra uomo e scimmia, di cui una cinquantina di anni addietro erano stati ritrovati i fossili, non era altro che un falso.
Il ritrovamento risaliva al 1912, quando la febbre della ricerca dell’anello di congiunzione era nella sua fase più intensa. I tedeschi avevano rinvenuto il cranio dell’Uomo di Neanderthal e dell’Uomo di Heidelberg; i francesi avevano dissotterrato gli Uomini di Cro-Magnon; un po’ dappertutto erano venuti alla luce i resti degli uomini preistorici, soltanto dall’Inghilterra non era ancora uscito nulla di sensazionale, quando un anonimo avvocato di provincia, Charles Dawson, appassionato di storia e di archeologia, corse dall’amico Arthur Smith Woodward, direttore della sezione naturalistica del British Museum, con alcuni frammenti di ossa che disse di aver trovato l’anno prima in una cava di ghiaia a Brighton, non lontano da casa sua. Osservando il lavoro di alcuni operai, aveva notato un oggetto scuro e rotondo e l’aveva raccolto, constatando che si trattava di un frammento di cranio fossile: esplorando intorno aveva trovato altri pezzi, ricostruendo in tal modo un’intera calotta cranica. Si era poi spostato nella regione di Piltdown, dove aveva rinvenuto un osso occipitale e altri frammenti di cranio.
Woodward, si fece descrivere lo strato di ghiaia in cui era avvenuto il ritrovamento ed annunciò all’amico che quello strato era del periodo terziario, dato che in esso erano già stati ritrovati resti di mammiferi come il mastodonte. L’uomo a cui apparteneva quella scatola cranica non poteva quindi avere meno di un milione di anni: se queste deduzioni erano esatte si trattava della più importante scoperta scientifica del secolo, e tutto questo in Inghilterra. I due si precipitarono a Piltdown e cominciarono gli scavi, con la collaborazione di un certo Marston, dentista locale. Quasi subito venne alla luce un secondo pezzo di cranio, molto simile all’altro, poi una mandibola e un paio di denti, tra cui un incisivo che si adattava perfettamente alla mandibola e una grossa clava pietrificata.

Woodward poté quindi annunciare ufficialmente che l’anello di congiunzione era trovato, e lo chiamò Eoanthropus Dawsonii, cioè «uomo dell’aurora scoperto da Dawson». Alla riunione del Geological Society of London, tenutasi il 18 dicembre 1912, Charles Dawson presentò i resti agli studiosi, mentre Woodward, annunciò che era stata fatta una ricostruzione dei frammenti, che indicava il cranio molto simile all’uomo moderno, a eccezione dell’occipite e delle dimensioni del cervello, che sembrava essere pari a due terzi rispetto a quello dell’homo sapiens, disse inoltre che, fatta eccezione per due molari identici a quelli umani, la mandibola sembrava indistinguibile da quella di un giovane scimpanzé moderno.
Cominciarono le discussioni tra gli scienziati, dato che obiettivamente l’Uomo di Piltdown sembrava un alquanto strano poichè la mandibola appariva molto scimmiesca e la calotta cranica aveva un volume cerebrale superiore a quello dell’Uomo di Neanderthal (assai più recente), mentre l’osso occipitale rimaneva un enigma. Furono avanzate molte teorie e si finì per concludere che forse quello di Piltdown era un ramo a parte dell’umanità, di intelligenza molto sviluppata, ma scomparso senza progenie.
In base alla ricostruzione fatta al British Museum, propose l’Uomo di Piltdown come anello mancante dell’evoluzione della specie umana, in grado di congiungere le scimmie all’uomo moderno, in linea con la teoria allora prevalente in Inghilterra che voleva l’evoluzione iniziata con la parte riguardante il cervello. L’Uomo dell’Aurora entrò nei libri di scuola e il nome di Dawson fu inciso a lettere d’oro sulla vetrina d’onore del British Museum che conteneva i preziosi reperti.
Fin dalla sua presentazione, la ricostruzione fatta da Woodward fu fortemente messa in dubbio. Al Royal College of Surgeons una copia degli stessi frammenti fu assemblata in maniera diversa, ottenendo un modello completamente differente da quello proposto dagli scopritori, nel quale le dimensioni del cervello erano compatibili con quelle dell’uomo moderno. Questa seconda ricostruzione fu identificata con il nome latino Homo Piltdownensis.
Agli inizi del 1913, David Waterson, del King’s College London, pubblicò su Nature la sua ipotesi secondo cui i resti di Piltdown erano semplicemente riferibili a una mandibola di scimmia e a un cranio umano. Il paleontologo francese Marcellin Boule giunse alla stessa conclusione nel 1915 mentre, negli Stati Uniti, lo zoologo Gerrit Smith Miller identificò correttamente la mandibola come appartenente a un orangutan. Nonostante ciò, passarono molti anni prima che i pareri discordanti fossero accolti come corretti.
Nel 1915, Dawson annunciò il ritrovamento di un secondo cranio della stessa specie, a circa due miglia dal sito precedente. Tuttavia il luogo esatto in cui affermava di aver effettuato la seconda scoperta non fu mai identificato, e il ritrovamento rimase totalmente privo di documentazione.
Gerrit Smith Miller, per esempio, osservava nel 1915 che, in caso di dolo intenzionale, il metodo migliore per svelarlo sarebbe stato quello di frammentare in numerose parti i resti, permettendo quindi svariate soluzioni per ricostruire il presunto ominide. Nei decenni successivi, fino al definitivo riconoscimento che si trattasse di un falso, gli scienziati generalmente si riferivano all’uomo di Piltdown come a un’aberrazione in contrasto con il percorso evolutivo umano tracciato dai resti fossili ritrovati altrove. Nel 1944 anche l’antropologo italiano Guido Bonarelli metteva in dubbio l’autenticità dell’uomo di Piltdown.
Dawson morì nel 1916. Nel 1930 l’antropologo Weinert cominciò a parlare apertamente di un falso, dicendo che il famigerato osso occipitale doveva provenire «dalle immondizie». Si levò ovviamente un coro di indignazione: Weinert era tedesco, evidentemente parlava per invidia nazionalistica. Ma, a poco a poco, i dubbi crebbero; un altro tedesco, il paleontologo Weidenreich, avanzò l’ipotesi che la calotta cranica potesse appartenere a un uomo moderno, la mandibola invece ad un orango di qualche zoo. Infine proprio il dentista Marston, che aveva contribuito al ritrovamento, propose di sottoporre le ossa al “saggio del fluoro”, di recente scoperto dallo scienziato Oakley, che permetteva di datare i reperti analizzando la quantità di fluoro contenute nei resti. Le ossa di Piltdown furono esaminate per quattro anni e il risultato fu che, mentre il cranio poteva avere qualche decina di migliaia di anni, la mandibola ne aveva solo cinquanta, apparteneva a uno scimpanzé o a un orango ed era stata fossilizzata artificialmente con una preparazione di potassa e ferro.
Dawson era quindi un falsario? Giornali e riviste sguinzagliarono i loro migliori cronisti per ricostruire la sua vita, scoprendo cose interessanti. Ad Hastings, il direttore del museo locale confidò che cinque pezzi antichi procurati da lui al museo erano risultati falsi; i due volumi della Storia di Hastings che Dawson aveva scritto apparivano copiati di sana pianta da un manoscritto inedito conservato proprio al museo. Il proprietario della casa in cui Dawson viveva, inoltre, disse agli inviati del Daily Mail che quando aveva comperato l’edificio e fatto dei lavori di ristrutturazione, in un muro era stata trovata una cavità con dei crani di grosse scimmie.

Il 21 gennaio 1953, infine, Sir Gavin De Beer, direttore del dipartimento di storia naturale del British Museum, stabilì in una comunicazione ufficiale che anche in base al metodo dei depositi di uranio radioattivo l’Uomo di Piltdown era un falso: «Nessuno dei ritrovamenti viene da Piltdown; alcuni sono addirittura di origine straniera».
L’identità dei falsari dell’Uomo di Piltdown rimane tuttora sconosciuta, ma tra i sospettati, incluso ovviamente lo stesso Charles Dawson, vi sono Pierre Teilhard de Chardin, Martin A. C. Hinton, Horace de Vere Cole, Arthur Keith e Arthur Conan Doyle. Teilhard aveva viaggiato nella regione africana dalla quale uno dei reperti in realtà proveniva, e all’epoca del primo ritrovamento risiedeva nelle vicinanze.
Hinton invece lasciò un baule nel Natural History Museum di Londra, ritrovato nel 1970, contenente ossa di animali e denti modellati e invecchiati artificialmente in maniera simile all’Uomo di Piltdown. Il coinvolgimento diretto nella beffa di Keith venne dedotto dalle ricerche in base alla frettolosità con cui giudicò genuino il ritrovamento escludendo tutte le ipotesi possibili e senza documentare le proprie ipotesi in maniera adeguata. La tesi più accreditata è che della montatura non fosse autore un unico falsario.
Gli indizi che vogliono Charles Dawson come autore principale del falso ritrovamento sono supportati dalle prove di altre truffe archeologiche simili precedenti all’uomo di Piltdown. L’archeologo Miles Russel della Bournemouth University ha analizzato la sua collezione privata di reperti, scoprendo che almeno 38 di essi sono dei falsi. Tra questi reperti anche un dente di un ibrido rettile/mammifero, tale “Plagiaulax dawsoni”, scoperto a detta di Dawson nel 1891 e in realtà contraffatto in maniera identica all’Uomo di Piltdown, e numerosi altri falsi abilmente confezionati. Secondo Russel la beffa di Piltdown era solo la parte culminante del suo lavoro di falsario.
Insomma, con tutta probabilità Dawson aveva trovato o acquistato chissà dove una calotta cranica di uomo fossile, vecchia di 20 o 30.000 anni: su quella, con abile e paziente lavoro, modellò e adattò la mandibola di scimmia, i denti, l’osso occipitale, pietrificandoli quindi artificialmente con un metodo sconosciuto. Cosa ne guadagnò? La fama innanzi tutto, e forse anche la soddisfazione maligna di avere, lui oscuro avvocato di provincia, preso in giro i luminari della paleontologia mondiale per tanti anni.