Medico nazista appassionato di esperimenti su cavie umane, compresi i bambini è sfuggito alla giustizia grazie ad un passaporto del vaticano che gli ha consentito di fuggire in sud america.
Fu il Dottor Morte, l’angelo nero di Auschwitz, la primula rossa del nazional-socialismo, colui che sterminò migliaia di ebrei, utilizzandoli come cavie umane, in esperimenti indicibili, volti a ricercare il gene per la creazione di una pura e sacra razza ariana.
Nato a Gunzburg, il 16 marzo 1911, figlio di una facoltosa famiglia di imprenditori tedeschi, si iscrisse alla facoltà di medicina, conseguendo la laurea nel 1935, con una tesi, di cui fu relatore il professor Mollison, convinto sostenitore della disparità delle razze, che gli procurò un posto da ricercatore presso l’università di Francoforte.
Qui Mengele fece l’incontro fatale con il professor Ottmar von Verschuer, genetista del reich e teorico della manipolazione genetica, convinto che la chiave per la creazione di una pura razza ariana, fosse da ricercare nel sistema biologico dei gemelli.
Arruolatosi nelle SS, ed autorizzato alle nozze con Irene Schoenbein, allo scoppio della guerra, Mengele fu inviato all’ufficio di Poznan per la razza e gli insediamenti umani fino al 1942, quando venne assegnato al corpo sanitario della divisione Waffen SS Wiking, stanziata sul fronte russo; poco più tardi venne ferito, rimpatriato a Berlino e decorato al valore con la croce di ferro di prima classe.
Ritornato nella capitale, si ricongiunse con il professor Verschuer, divenuto, nel frattempo, direttore del dipartimento di antropologia e genetica del prestigioso Kaiser Wilhelm Institut; i due proseguirono i loro studi sulla teoria dei gemelli, rendendosi ben presto conto che la guerra stava offrendo la possibilità di sfruttare direttamente, per le loro ricerche, cavie umane, attingendo alle decine di migliaia di ebrei, deportati nei campi di concentramento.
Il 30 maggio 1943 fu il giorno della svolta: Josef Mengele venne inviato in Polonia, presso il campo di sterminio destinato a diventare l’emblema dell’olocausto, Auschwitz, ove sarebbe, tristemente, divenuto noto come l’angelo sterminatore, in quanto non solo si occupò delle selezioni dei nuovi arrivati, con assoluto potere di vita o di morte, ma, in via principale, si dedicò alla continuazione dei suoi studi, facendo ricorso allo sterminato serbatoio umano a sua disposizione, concentrandosi esclusivamente sui bambini gemelli di origine ebrea.
Nel suo laboratorio, presso il blocco n. 10 del campo, si lasciò andare ad esperimenti indicibili, agghiaccianti, aventi ad oggetto, soprattutto, le coppie di gemelli rastrellate nel campo: operazioni senza anestesia, mutilazioni, iniezioni di virus come la lebbra o il tifo.
Mengele praticò trasfusioni incrociate tra gemelli, tentò di creare in laboratorio dei fratelli siamesi, cucendoli insieme, iniettò liquido nei loro occhi al fine di mutarne il colore, procedette a castrazioni, sterilizzazioni, congelamenti ed ad altri orrori indicibili. Il suo laboratorio era un raccapricciante coacervo di ossa feti, organi sottovuoto, cervelli, tutto materiale che veniva inviato a Berlino, al maestro professor Verschuer.
I bambini da lui selezionati erano portati all’interno del blocco n. 10 per essere preparati per il soggiorno. Dopo una doccia fredda, i piccoli erano rasati e tatuati con un numero dalla speciale sequenza. Dovevano indossare l’uniforme da campo e poi erano sottoposti ad una prima visita, in modo che Mengele potesse accertarsi del loro stato di salute.
Ogni giorno ricevevano una razione di cibo adeguata, in modo che restassero in forze. Potevano anche giocare all’aperto, dopo l’appello del mattino. Erano esonerati dal lavoro. Sul muro del blocco aveva disegnato una linea all’altezza di 150 cm circa. Tutti coloro che non raggiungevano tale misura erano destinati alla camera a gas. La loro anatomia veniva catalogata e registrata con precisione maniacale.
Ogni giorno erano sottoposti ad esperimenti: esami del sangue, iniezioni di farmaci di vario genere, che spesso provocavano infezioni gravi e dolorose, interventi chirurgici senza anestesia per rimozioni di organi o amputazioni, iniezioni negli occhi per contrastare lo scolorimento dell’iride con il blu di metilene, con conseguente cecità del paziente.
Questa era la routine dei bambini di Mengele. Se uno dei due gemelli moriva, l’altro veniva ucciso con una iniezione di fenolo al cuore. Poi erano sottoposti entrambi necroscopia per il confronto degli effetti della malattia. Il patologo era ovviamente un prigioniero ebreo costretto ad eseguire l’autopsia sotto gli sguardi eccitati dei presenti che speravano di trovare finalmente la chiave per avere la razza perfetta.
Alcuni organi, occhi, campioni di sangue e tessuti venivano inviati a Verschuer all’Istituto di ricerca biologico-razziale di Berlino, per essere analizzati, con lo scopo di riuscire a trovare una differenza sostanziale tra il sangue degli ariani e quello dei non-ariani. 700 furono i bambini italiani che passarono per Auschwitz. Di questi solo 25 tornarono a casa, lasciando in quel luogo la loro anima.
La sua calma apparente lasciava spesso spazio ad una personalità aggressiva ed iraconda, capace di uccidere i prigionieri a calci, con colpi di pistola o con iniezioni letali al fenolo. Durante una grave epidemia di tifo, decise in un solo giorno l’esecuzione di 750 deportate.
Morte, dolore, sofferenza, disumanizzazione, i prigionieri di Auschwitz, come quelli degli altri campi di sterminio, si consumavano nell’attesa che il mondo venisse in loro aiuto.
Nel novembre del 1944 l’Armata Rossa avanzava inesorabilmente. Himmler, ideatore della soluzione finale, decise, per cancellare le prove del genocidio, diede di disposizioni per di far distruggere i forni crematori. Ma gli ordini non furono eseguiti alla lettera.
Finalmente il 27 gennaio del 1945 le truppe sovietiche entrarono nel campo di Auschwitz. 7000 erano i prigionieri ancora vivi. Da qui iniziò la fuga del dottor Josef Mengele, che durò fino al 1979.
Travestito da soldato semplice, riuscì a confondersi tra gli altri prigionieri tedeschi rastrellati, portando con se tutti i protocolli delle ricerche fatte sui gemelli. Per identificare gli appartenenti alle SS, che dovevano essere immediatamente arrestati, gli alleati usarono un metodo molto semplice: sul braccio sinistro degli ufficiali era tatuato il loro gruppo sanguigno, utile in caso di ferimento durante la guerra.
Chi aveva questo segno distintivo era fermato e incarcerato come criminale di guerra. Mengele non era tatuato. Da soldato semplice della Wehrmacht si nascose nei pressi di Weiden, al confine con la Cecoslovacchia, portando con se oltre ai fascicoli sottratti al campo, una scatola di bulbi oculari, come riportato dai suoi diari, ricordo degli esperimenti effettuati.
Nel giugno del 1945 fu arrestato fortunosamente dagli americani e portato in un campo di prigionia a Schauenstein, in Germania. I prigionieri tedeschi erano in totale 3.000.000. Non esistendo una lista nominativa di criminali di guerra, l’ordine tassativo era quello di trattenere solo i membri delle SS.
Per alleggerire la pressione al campo, gli americani decisero di rilasciare 30mila prigionieri al giorno. Così come era stato preso, Josef Mengele fu rilasciato. Da li cercò rifugio a Rosenheim, in Baviera, dove iniziò a lavorare come bracciante agricolo con il nome di Fritz Holman.
Nel frattempo si svolgeva il processo di Norimberga, dove i colleghi e camerata del dottore, quelli catturati, erano chiamati a rispondere dei crimini commessi. Le ricerche di Mengele iniziarono dal suo paese di origine, Gunzburg, dalla moglie Irene Schoenbein e dall’avvocato che da sempre gestiva gli interessi di famiglia, Hans Sadelmayr.
Nonostante i controlli, Irene e suo marito si incontravano vicino alla fattoria dove lui lavorava. Si vedevano con regolarità, circa una volta al mese. Lei gli portava denaro, notizie e appena poteva il figlio di 2 anni, Rolf.
Nell’aprile del 1946 a Norimberga vennero presentate al mondo le prove dei folli esperimenti fatti da Mengele. Gli americani intensificarono le ricerche, interrogando nuovamente la famiglia. In accordo con la moglie, per depistare i suoi inseguitori, Mengele si finse morto: Irene indossò il vestito nero e andò in chiesa a piangere il marito, con il piccolo in braccio.
Passarono 4 anni, in cui il dottore si sentiva sempre più inquieto. Decise allora di lasciare l’Europa e la famiglia. Con l’aiuto del fedele avvocato Sadelmayr, si spostò a Innsbruck, in Austria, per poi passare al Brennero, con un treno regionale, e arrivare in Italia. Con l’aiuto di un complice, varcò il confine clandestinamente, utilizzando i vecchi sentieri battuti dai contrabbandieri.
Nell’estate del 1949, il neonato Helmut Gregor si imbarcò sulla nave Nordking verso il Sud America, GRAZIE AL PASSAPORTO GENTILMENTE FORNITO DAL VATICANO. Arrivò a Buenos Aires il 26 ottobre 1949. Il presidente Peron e la moglie Evita erano sospettati di simpatizzare per nazisti in fuga, sia per affinità ideologiche che per interessi economici. Ad attenderlo al suo arrivo la potente e ricca comunità tedesca, che accolse il dottore con piacere, contribuendo a far perdere le sue tracce.
Nonostante la spietata caccia mossagli dal servizio segreto israeliano (Mossad), riuscì a farla franca e ad evitare la resa dei conti per i suoi spaventosi crimini. Nel 1963 il dossier Mengele fu archiviato definitivamente dal Mossad. Anche in Germania nessuno lo cercava più, per non intaccare i delicati rapporti diplomatici che si stavano instaurando con le nazioni sud americane.
Nel 1969, Mengele si trasferì a Cajeferas, un quartiere alla periferia di San Paolo. Paranoia e frustrazione per non aver potuto continuare i propri esperimenti scientifici, si impossessarono della mente dell’ormai fragile ed impaurito dottor Mengele. Nello stesso periodo fece amicizia con un altro ex camerata, Wolfran Bossert. Nacque una profonda amicizia, tanto importante da far si che Mengele affidasse a lui e alla moglie la gestione dei propri affari in Germania.
Nel 1971 Wolfgang Gerard decise di rientrare in Austria, suo paese di origine, lasciando il proprio passaporto e quindi la propria identità all’amico Josef Mengele. Il nuovo Gerard (J.Mengele) si trasferì ad Alvarenga, in un bungalow dal misero aspetto, concedendosi il solo lusso di due cameriere che lo assistevano in tutto. Passò anni in completa solitudine, con la sola vicinanza della moglie, fino all’ottobre 1977 quando ricevette la visita del figlio Rolf.
Il 7 febbraio del 1979, durante una nuotata sulla spiaggia di Bertioga in Brasile, Josef Mengele, alias Wolfgang Gerard, morì di infarto. Fu sepolto nel cimitero di Nostra Signora del Rosario, a Embu das Artes, con il nome di Wolfgang Gerhard. 34 anni in libertà, nessun processo, nessuna condanna.
Nel 1992 i resti di quello che avrebbe dovuto essere il dottor Morte furono sottoposti all’esame del DNA, confrontato con quello del fratello, inizialmente contrario a collaborare. Con una probabilità del 99.69%, l’8 aprile fu accertato che la persona sepolta nel cimitero a Embu das Artes fosse proprio Josef Mengele.
I suoi resti furono conservati in un magazzino dell’istituto di medicina legale di San Paolo del Brasile. Oggi le sue ossa sono a disposizione degli studenti di medicina per i loro studi.
Nonostante questo i dubbi sulla fine del dottor Mengele non furono mai del tutto fugati. Si pensava ad una cospirazione da parte della famiglia per far cessare le voci e mettere finalmente la parola fine alla caccia al dottor Morte, durata per oltre 3 decenni.
Quello che è certo è che mai fu sottoposto ad un giusto processo e ad una esemplare condanna, come avrebbe meritato per essere stato un freddo e spietato assassino. In realtà, quelle che sono state le vicende dell’angelo sterminatore di Auschwitz, rimarranno, per sempre, avvolte nel mistero.