Dopo l’esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl, Valery Legasov fu uno dei primi ad arrivare a Prypriat, dove trascorse tre settimane in quattro mesi nei pressi del reattore 4, assorbendo una dose di radiazioni pari a 100 rem.
Valerij Legasov (1936 – 1988) è stato un chimico sovietico. Il suo nome è noto in particolare per essere stato lo scienziato che indagò sul Disastro di Chernobyl rivelando particolari scomodi al governo sovietico che lo costrinse al silenzio. A causa di questo silenzio due anni dopo il disastro si tolse la vita per il rimorso.
All’epoca del disastro di Chernobyl (26 aprile 1986), Legasov era primo vicedirettore dell’Istituto Kurčatov di Energia Atomica. Egli divenne un membro chiave della commissione che il governo sovietico incaricò di investigare sulle cause del disastro e per un conseguente piano di mitigazione delle conseguenze.
È stato sempre lui che ha proposto di andare in elicottero verso il reattore in fiamme con un composto di boro, piombo e argilla. Ancora lui che ha insistito sull’immediata e completa evacuazione della città di Pripyat. Una nube radioattiva avvolse l’Europa. L’URSS minacciava azioni legali multimilionarie. Ma dopo una conferenza di esperti dell’AIEA a Vienna, l’atteggiamento verso l’Unione Sovietica si ammorbidì.
Sul posto capì che il quarto blocco della centrale era distrutto, il turbocompressore provocò due esplosioni di seguito, lasciando il reattore completamente distrutto. Non esisteva alcun precedente di liquidazione di incidenti di questa portata, in nessuna parte del mondo.
L’accademico Legasov è stato l’unico scienziato che ha lavorato in quei giorni sul luogo del disastro. Con coraggio impavido, fece arrivare un elicottero militare fino al tetto della centrale nucleare, compiendo un volo di emergenza sul quarto blocco. Una volta lì notò che brillava. Per verificare la radioattività fece atterrare l’elicottero che era stato blindato, scese dal velivolo, si avvicinò ai blocchi, e inziò a fare le misurazioni.
Prese l’importante decisione di evitare il ripetersi di incidenti simili e informò il governo sovietico della situazione sull’area del disastro dopo esservi giunto personalmente. Non esitò a parlare chiaramente ai suoi colleghi scienziati e a fare pressione sui rischi che l’impianto, seppure distrutto, rappresentava ancora un grande pericolo per la popolazione, quindi chiese di intervenire con un piano di evacuazione dell’intera città di Prypriat, prossima alla centrale nucleare.
Il presidente dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, Anatoly Aleksandrov aveva consigliato di togliere e seppellire i resti del reattore. Ma il livello di radiazioni e raggi x era troppo alto. Fu proprio Legasov a proporre di lanciare nel nocciolo del reattore, con gli elicotteri, una miscela di boro contenente sostanze di piombo e argilla. Con i calcoli giusti, “piombò” il reattore. I piloti degli elicotteri, anche insieme a lui, riversarono 5mila tonnellate di materiale. Legasov stesso salì sulla cima del reattore – che rischiava di collassare – 5-6 volte al giorno.
Legasov aveva capito perfettamente a cosa stava andando incontro e quante dosi di radiazione stava assorbendo. Ma quello era l’unico modo per valutare l’entità del disastro. Da lontano non era possibile capire cosa stava succedendo e c’era bisogno di prendere decisioni rapide. Il tempo scorreva e non ce n’era abbastanza per farsi consigliare.
Allora Legasov riuscì a convincere il presidente della commissione governativa Boris Shcherbina che Pripyat andava evacuata con urgenza. In questo modo salvò molte vite. Quando la città fu deserta, arrivarono i liquidatori. Informazioni affidabili su ciò che stava accadendo a Chernobyl mancavano. Legasov propose di creare un gruppo di giornalisti esperti, per raccontare l’evento e dire alla società come reagire e comportarsi, ma quel gruppo non venne mai creato. Si aveva paura del panico, quindi, si cercava di non divulgare informazioni.
“Questo è stato il momento in cui mio padre entrò in conflitto con la direzione del paese”, dice la figlia Inga. “Mio padre voleva, al contrario, informare ampiamente la popolazione, far capire alle persone cosa stava succedendo, come comportarsi…Ha capito quanto grande fosse la tragedia e non riusciva a pensare al disastro per Chernobyl”.
Il 5 maggio 1986 Valery era di nuovo sul luogo dell’incidente. Tornò poi a casa il 13 maggio con voce rauca, tosse, insonnia. Nell’agosto del 1986 presentò il suo rapporto sull’accaduto al Soviet, che però pensò di rivedere l’originaria scrittura di Legasov ponendo più le responsabilità del disastro sull’errore umano che non sui difetti di progettazione dell’impianto da parte del governo sovietico. Nello stesso mese a Vienna tenne una riunione speciale all’agenzia Internazionale per l’energia atomica, la AIEA, venne costretto dai vertici dell’unione sovietica a portare questa relazione corretta.
Alla riunione, che era programmata per chiarire la tragedia di Chernobyl, si riunirono allora più di 500 esperti provenienti da 62 paesi. Legasov lesse il suo rapporto per 5 ore, riportando un’analisi dettagliata del disastro, ma il dossier non conteneva tutta la verità sulle reali cause dell’incidente. Quando terminò il suo discorso, tutti erano in piedi ad applaudirlo e gli fu consegnata una bandiera dell’AIEA. Tuttavia l’analisi reale dei fatti e delle responsabilità venne pubblicata solamente dopo la sua morte.
Ci si aspettava che gli esperti richiedessero all’Unione Sovietica di risarcire i danni dalla nube radioattiva, che dopo l’incidente, era arrivata in Europa. I radionuclidi di iodio e cesio avevano raggiunto il territorio europeo. Legasov, che aveva confermato l’errore umano come natura del disastro, aveva salvato il paese da milioni di dollari di azioni legali. Ma tutto questo lo cambierà per sempre nel profondo.
Ricorda sua figlia Inga:
“Non doveva andare lui a quella riunione, ma il Capo di Stato. Su quello che è successo a Chernobyl, avrebbe dovuto riferire Gorbaciov. Ma, per quanto ne so, Mikhail Gorbaciov ha detto, lasciate che vada lo scienziato, che ha partecipato alla liquidazione dell’incidente. Mio padre si organizzava davanti ai nostri occhi, prendendo i documenti da casa. Alcuni giorni a casa nostra sono rimasti a dormire altri scienziati ed esperti. Mio padre più volte ha controllato tutte le cifre, per assicurarsi personalmente che tutte fossero totalmente veritiere. Il suo rapporto è stato molto dettagliato e molto onesto”.
I diplomatici sovietici a Vienna avvertivano che la situazione era abbastanza sfavorevole, che la riunione sarebbe andata male. La comunità internazionale si poneva negativamente contro il paese e contro il relatore. Si aspettavano Gorbaciov… Mio padre mi ha raccontato che all’inizio facevano rumore, per problemi con i posti a sedere in sala. Ma dopo 15 minuti di lettura della relazione nella sala scese un silenzio di tomba.
Legasov veniva ascoltato con il fiato sospeso. Il rapporto durò 5 ore, poi in seguito, rispose alle domande. Il suo compito principale non era giustificare l’Unione Sovietica, non era nascondere le informazioni, ma, al contrario, spiegare alla comunità internazionale, come bisogna comportarsi in queste situazioni. Già allora gli era venuta l’idea di creare un istituto per la sicurezza. Per riconoscere la grandezza del suo intervento ci vorrà tempo, con la perestroika e la glasnost’ che arriveranno più tardi.
“Il rapporto è stato onesto. C’erano cause di forza maggiore nella situazione, c’era bisogno di pensare, non ad un paese solo ma a tutta l’umanità. Il rapporto all’AIEA ha avuto grande risonanza. Mio padre è diventato molto popolare in Europa, fu nominato uomo dell’anno, è entrato nella top ten dei migliori scienziati del mondo. Questo ha causato un grave gelosia tra i suoi colleghi” continua Inga.
Il primo settembre 1986 Legasov ha compiuto 50 anni. Fu proposto per il rango di Eroe del Lavoro Socialista, ma il ministro di Ingegneria meccanica si oppose. L’accademico aveva ricordato troppo palesemente le cause dell’incidente di Chernobyl. In seguito, poi, ha ricevuto dal ministero solo “gloria” nominale.
Ben presto, i medici gli diagnosticarono una pancreatite da radiazione, la malattia era al quarto stadio. Nel suo sangue erano stati rilevati mielociti, era chiaro che avrebbero raggiunto il midollo osseo. Cominciò a perdere controllo delle dita della mano sinistra, poi del braccio destro e della gamba. I medici gli diagnosticarono una depressione reattiva… Nell’autunno del 1987, mentre era in ospedale, prese una grossa dose di sonniferi, ma i medici furono chiamati in tempo e gli fecero una lavanda gastrica, salvandolo. Agli amici in quel difficile periodo Legasov disse: “tutto è bruciato dentro di me”.
“Dopo il disastro di Chernobyl mio padre è stato rivalutato”, dice Inga. “Ha avuto un periodo difficile per quanto accaduto, per il paese, per la gente, per l’incidente. Era preoccupato per i bambini non ancora nati, per gli animali abbandonati nella zona di esclusione. Forse questa misericordia, che possedeva, a quanto pare, aveva bruciato tutto dentro di lui.”
Nel giorno del secondo anniversario del disastro, Legasov si suicidò impiccandosi alla ringhiera delle scale della sua abitazione. Prima di uccidersi, egli registrò personalmente una cassetta audio nella quale rivelava tutti i fatti relativi alla catastrofe che gli era stato impedito di rivelare. Si concluse che Valery si era suicidato in uno stato di depressione.
“Il sistema e i suoi colleghi lo avevano spezzato”: è l’opinione del professore dell’università di Mosca Lomonosov Yuri Ustinjuk.
Dopo la morte dell’accademico, sua moglie ha chiesto il documento ufficiale per conoscere la dose di radiazioni ricevuta da suo marito a Chernobyl. Era di 100 rem, mentre la dose massima ammissibile per i liquidatori era di 25.
Secondo un’analisi dei nastri eseguita in occasione della registrazione del film TV della BBC dal titolo Chernobyl Nuclear Disaster, è emerso chiaramente come Legasov avesse ricevuto pesanti censure da parte del governo sovietico, il quale sapeva già ben prima del disastro che la struttura appariva in più punti difettosa.
Inoltre furono questi suoi tentativi ripetuti di rivelare la verità che finirono per nuocere dapprima alla sua carriera e poi alla sua salute, spingendolo a logorarsi nel rimorso di non aver potuto dire ciò che avrebbe potuto evitare altre morti dopo il disastro.
Il suicidio di Legasov ebbe ripercussioni in tutto il mondo del nucleare nell’Unione Sovietica. In particolare il governo dovette ricredersi su quanto detto e ammise le problematiche strutturali di cui l’impianto di Chernobyl soffriva già prima del disastro del 1986. Il 20 settembre 1996, in occasione del primo decennale della tragedia, il presidente russo Boris Eltsin gli ha conferito il titolo di Eroe della Federazione Russa per il coraggio e l’eroismo dimostrati nell’investigazione del disastro.
Per salvare le persone dalle conseguenze del terribile disastro causato dall’uomo, Valery Legasov ha pagato con la propria vita per gli errori degli altri.