Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee, i tre astronauti assegnati alla missione Apollo 204 (Apollo 1), primo volo orbitale con equipaggio del veicolo Apollo che dovrebbe portare l’America sulla Luna, muoiono nell’incendio della capsula nella quale sono sigillati da un triplice portello, durante una prova tecnica a terra, sulla Rampa 34 di Cape Kennedy. Alle 18:31 del 27 gennaio 1967.
Poco prima dell’incidente, l’equipaggio composto dagli astronauti selezionati per iniziare il programma Apollo: il pilota comandante Virgil Grissom, il pilota maggiore Edward White e il pilota Roger Chaffee, si stava distendendo nei rispettivi sedili orizzontali, completando la checklist, mentre un problema relativo al sistema di comunicazione era stato riparato.
Improvvisamente, una voce (ora si ritiene che fosse di Chaffee, dato che era l’unico ad avere il canale audio libero) gridò “Fire! We’ve got fire in the cockpit!” cioè “Fuoco! C’è del fuoco nella cabina!“. L’ultima registrazione ha avuto luogo 17 secondi dopo il primo messaggio di allerta con la frase “We’re burning up!“, cioè “Stiamo bruciando!“. La trasmissione si concluse con un grido di dolore. L’equipaggio non ebbe la possibilità di fuggire, dato che il doppio portello con apertura interna poteva aprirsi solo con la capsula non pressurizzata.
Si ritiene che il fuoco abbia avuto origine da una scintilla scoccata in un preciso punto dei 50 km di cavi presenti nella navicella, ed abbia avuto una combustione molto accelerata a causa dell’atmosfera d’ossigeno pressurizzato presente nella capsula. La Commissione d’inchiesta determinò che la causa fu un filo di rame privato del suo isolamento dovuto alla continua apertura e chiusura di un portello che con esso interferiva. Sembra inoltre che questo filo fosse nei pressi di una giunzione di una linea di raffreddamento che in quel momento stava espellendo vapori altamente infiammabili.

I soccorritori impiegarono cinque interminabili minuti a farsi largo tra le fiamme e il fumo e ad aprire i complicatissimi portelli d’accesso, ma ormai era troppo tardi. Il fuoco si diffuse rapidamente, passando per la tuta degli astronauti. Le tute di Grissom e di White furono ritrovate parzialmente fuse. Nonostante questo il rapporto dell’autopsia stabilì che la principale causa di morte per tutti e tre gli astronauti fu l’arresto cardiaco causato da alte concentrazioni di monossido di carbonio, piuttosto che le ustioni, i tre astronauti astronauti morirono in meno di un minuto.
La Commissione d’inchiesta stabilì che Grissom subì ustioni di terzo grado su oltre un terzo del corpo e la sua tuta spaziale fu distrutta per il 65%, White subì ustioni di terzo grado su quasi metà del corpo e un quarto della tuta spaziale era fusa mentre Chaffee subì ustioni di terzo grado su quasi un quarto del corpo e solo una piccola parte della tuta spaziale era stata danneggiata. Fu il primo incidente mortale direttamente causato dal programma spaziale statunitense: altri astronauti persero la vita prima di Grissom, White e Chaffee, ma in incidenti aerei.
L’incendio probabilmente si sarebbe potuto evitare se solo fossero state rispettate le buone norme di sicurezza e di progettazione, messe in disparte dalla “go fever”, la febbre di andare verso la Luna a qualunque costo. Lo shock per chi lavora alla NASA è talmente potente che per decenni questo disastro sarà ricordato chiamandolo semplicemente e sommessamente The Fire (“l’Incendio”).
La tragedia ebbe un enorme impatto sull’opinione pubblica mondiale tanto, che venne impostato un drastico riesame delle procedure NASA e di tutti i materiali usati per la capsula Apollo, emrgenze che probabilmente contribuirono ad evitare disastri durante i voli spaziali veri e propri. Il rapporto della NASA sul disastro (Report of Apollo 204 Review Board – Findings, Determinations and Recommendations) descriverà senza mezzi termini “carenze di progettazione, fabbricazione, installazione, rilavorazione e controllo qualità… assenza di soluzioni progettuali di protezione antincendio… installazione di componenti non certificati”.
Nel corso dei 21 mesi che trascorreranno prima del primo volo con equipaggio, Apollo 7, tutti i materiali infiammabili vennero rimpiazzati adottando alternative autoestinguenti, le tute in nylon sostituite con modelli in materiale non infiammabile e resistente alle alte temperature e il portello verrà riprogettato per aprirsi verso l’esterno in meno di dieci secondi. Per le missioni successive verrà usata una miscela di ossigeno e azoto (60/40%) al decollo, sostituita per il resto del volo con ossigeno puro a pressione ridotta (0,33 atm).
Grissom e White erano veterani dello spazio ed eroi nazionali: Grissom, 40 anni, era stato il secondo americano a volare nello spazio, con una capsula monoposto missione Mercury, ed aveva effettuato con John Young il volo inaugurale delle capsule Gemini (con la missione Gemini 3); Ed White, 36 anni, aveva compiuto la prima “passeggiata spaziale” statunitense e la seconda al mondo durante la missione Gemini 4). Roger Chaffee, 31 anni, non aveva ancora volato nello spazio ed era considerato uno dei massimi esperti nei sistemi di comunicazione e manovra del programma Apollo. Gus Grissom e Roger Chaffee sono sepolti ad Arlington; la tomba di Ed White è a West Point.

Una replica della capsula verrà esposta al Tellus Science Museum di Cartersville, in Georgia; il veicolo originale, dopo le perizie, verrà custodito per decenni dalla NASA al Langley Research Center, in Virginia, in un contenitore ermetico all’interno di un capannone fatiscente. Il 17 febbraio 2007 verrà traslocato in una struttura climatizzata adiacente.
Nei decenni successivi, Scott Grissom, figlio di Gus Grissom, sosterrà che l’incidente fu causato intenzionalmente per zittire gli astronauti prima che denunciassero la pericolosità e l’inadeguatezza della capsula Apollo, ma l’idea di insabbiare i difetti della capsula spaziale facendo morire gli astronauti in un rogo che evidenzia di fatto i difetti della capsula stessa non sembra particolarmente logica.
Il 27 gennaio 2017, in occasione del cinquantenario del disastro, i portelli originali della capsula sono stati esposti al pubblico per la prima volta presso il Kennedy Space Center in un grande allestimento commemorativo intitolato Ad Astra per Aspera.
La NASA aveva chiamato la missione “AS-204”, nome che rimase, dato che il volo non si era svolto. Dopo l’incendio, su richiesta delle vedove degli astronauti (in particolare quella di Grissom), venne ridenominata Apollo 1, in memoria del volo che gli astronauti avrebbero dovuto svolgere e non fecero mai.
