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NASA: Apollo 13 la missione disastrosa

La lezione impartita dall’incidente dell’Apollo 13 è ancora oggi un monito per ogni programma spaziale

Mysteria di Mysteria
2 Novembre 2023
in Spazio
Tempo di lettura: 5 min
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Alla fine degli anni ’60, dopo la conquista della Luna, l’umanità era rivolta ad ampliare i programmi spaziali. In particolare, la NASA pianificò una serie di missioni lunari, successive al famoso allunaggio dell’Apollo 11. Il programma Apollo, quindi, non si concluse quel 20 luglio 1969.

La composizione dell’equipaggio dell’Apollo 13 fu quanto mai improvvisata: in origine il comandante doveva essere Alan Shepard, ma venne bloccato da un’otite e fu sostituito da Jim Lovell (Apollo 8), mentre a pilotare il modulo di comando venne in un primo momento designato Ken Mattingly. Cinque giorni prima del lancio, il pilota di riserva del modulo lunare, Charles Duke, si ammalò di rosolia, Mattingly fu l’unico degli astronauti a non risultarne immune.

Per evitare che si ammalasse durante la missione, il 9 Aprile venne reso noto definitivamente che sarebbe stato sostituito dal pilota di riserva del modulo di comando John Leonard “Jack” Swigert Jr. In realtà, Mattingly non contrasse mai la rosolia, e giocò un ruolo fondamentale durante la crisi dell’Apollo 13, compiendo numerosi test al simulatore e aiutando l’equipaggio a tornare a terra. Il pilota del modulo lunare, Fred Wallace Haise Jr, era l’unico dell’equipaggio originale.

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Apollo 13
Apollo 13 – Saturn V

I singoli stadi del razzo Saturn V, erano stati consegnati a Cape Kennedy tra giugno e luglio del 1969. Il modulo di comando dell’Apollo, venne battezzato Odyssey, mentre al modulo lunare, fu dato il nome di Aquarius.

Il 15 dicembre 1969, l’Apollo 13, perfettamente assemblato, fu portato sulla rampa di lancio numero 39-A. Il ruolo di Capcom, cioè radiofonista di contatto con la capsula, venne assunto dagli astronauti Brand, Lousma, Young e Mattingly, nonché, per la prima volta, dallo scienziato-astronauta Joseph Kerwin.

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In programma vi era l’allunaggio nei pressi di Fra Mauro, dove fu programmato di installare l’ALSEP (Apollo Lunar Surface Experiments Package), cioè una serie di sistemi, congegni e misuratori per eseguire diversi esperimenti sulla Luna, come ad esempio misurazioni sismiche, misurazioni del campo magnetico, riflettore laser, misuratore della quantità ionica ed altro.

Il lancio dell’Apollo 13 avvenne da Cape Canaveral, Florida l’11 aprile 1970, alle ore 19:13:00 GMT. presentò degli inconvenienti, uno dei quali risultò abbastanza pericoloso: il motore centrale del secondo stadio dovette essere escluso a causa delle forti vibrazioni dovute a una non corretta messa in pressione delle pompe del carburante (il problema è piuttosto comune e noto come “oscillazioni pogo”).

Fortunatamente il computer spense il motore prima che causasse altri danni. Inoltre la direzione di volo decise di far bruciare i rimanenti quattro motori per un periodo più lungo del previsto. Pure il terzo stadio del razzo vettore venne fatto bruciare più a lungo.

Nonostante il problema, la deviazione dalla traiettoria dell’orbita prevista fu minimale ed ininfluente per il proseguire della missione. Dopo 1,5 orbite intorno alla Terra venne riacceso il congegno propulsore del terzo stadio del razzo vettore per portare l’Apollo 13 in direzione della Luna.

L’esperimento Saturn-Crash

Gli astronauti dell’Apollo 13 durante le prime fasi di missione, riuscirono ad eseguire perfettamente uno degli esperimenti in programma, il quale consisteva nel far precipitare il terzo stadio del razzo Saturn sulla Luna, nominato Saturn-Crash. Poco dopo che il modulo di comando si era staccato ed aveva effettuato con successo la manovra d’aggancio del modulo lunare, venne riacceso il congegno propulsore di questo terzo stadio del razzo vettore Saturn per portarlo su di una traiettoria di collisione con la Luna.

Tale manovra riuscì perfettamente e, tre giorni più tardi, lo stadio con il peso di circa 14 tonnellate precipitò sulla Luna a circa 120 chilometri a nord-ovest del punto di allunaggio dell’Apollo 12 con una velocità d’impatto di circa 2,5 chilometri al secondo (9000 km/h).

L’impatto liberò un’energia pari a circa 10 tonnellate di tritolo. Dopo circa 30 secondi il sismografo posizionato dall’equipaggio dell’Apollo 12 iniziò a registrare l’impatto al suolo, dando inizio a un terremoto lunare che durò per oltre tre ore. Già prima dell’impatto vero e proprio, il misuratore della ionosfera – anche questo montato durante la missione Apollo 12 – registrò la fuga di una nube gassosa visibile per oltre un minuto. Si presume che l’impatto abbia scagliato delle particelle della superficie lunare fino ad un’altezza di 60 chilometri, dove furono poi ionizzate dalla luce del Sole.

“OK, Houston, abbiamo avuto un problema”

Dopo 55 ore dal lancio della missione venne trasmesso il sottovalutato messaggio radiofonico dell’equipaggio al Controllo Missione, che concretamente fu “OK, Houston, abbiamo avuto un problema”. A 321.860 chilometri dalla Terra, il rimescolamento di uno dei quattro serbatoi dell’ossigeno del Modulo di Comando “Odyssey”, esplose.

L’unica soluzione per l’equipaggio fu quella di annullare l’allunaggio, girare attorno alla Luna e prendere la spinta necessaria per tornare sulla Terra. Poiché il Modulo di Comando “Odyssey” era rimasto seriamente danneggiato dall’esplosione, i tre astronauti furono costretti a trasferirsi nel Modulo Lunare “Aquarius”, utilizzandolo come navicella per il ritorno anziché come mezzo per atterrare sulla Luna. Il ritorno, durato quattro giorni, fu freddo, scomodo e teso. L’intero equipaggio perse peso e Haise sviluppò un’infezione renale.

Il problema

Il problema al miscelatore d’ossigeno fu causato dal contatto dell’alimentazione, i cavi che collegavano il motore al miscelatore interferirono elettricamente creando un corto circuito, probabilmente per un danneggiamento della guaina di teflon che li ricopriva. La scintilla nell’ambiente saturo di ossigeno si trasformò in una fiammata che causò un aumento di pressione sopra il massimo consentito nel serbatoio, che esplose danneggiando diverse parti del Modulo di Servizio, incluso il serbatoio dell’ossigeno numero 1. Inizialmente la causa non fu subito chiara, e ci fu chi ipotizzò l’impatto con un meteorite.

A causa della perdita di entrambi i serbatoi dell’ossigeno del Modulo di Servizio, e considerata la quantità di ossigeno richiesta dalle apparecchiature della navicella Apollo, sarebbe stato impossibile atterrare sulla Luna; fu scelto di eseguire un passaggio attorno al nostro satellite e di riprendere la rotta verso la Terra.

Considerando la grande pressione psicologica a cui erano sottoposti sia i tre astronauti a bordo, sia i tecnici a Terra, fu necessaria una considerevole ingegnosità per portare in salvo l’equipaggio, con tutto il mondo che seguiva l’avvicendarsi dei drammatici eventi in televisione. Il rifugio che salvò la vita all’equipaggio fu il Modulo Lunare “Aquarius”, che diventò una vera e propria “scialuppa di salvataggio”.

Uno dei problemi principali da affrontare nella fase di ritorno fu che il LEM era predisposto solo per ospitare due persone per due giorni, invece in questo caso doveva ospitare tre persone per i quattro giorni di viaggio. Il problema maggiore era dovuto al fatto che i filtri dell’anidride carbonica del LEM non erano sufficienti per tre persone, mentre i filtri di ricambio del MS (modulo di servizio) non erano adattabili al LEM, quindi gli astronauti realizzarono un adattatore con i materiali presenti sulla navicella.

Fu scelto di utilizzare il LEM come modulo di salvataggio perché il Modulo di Comando (che sarebbe stato preferibile) aveva subito gravi danni al sistema di alimentazione e quindi sarebbe stato impossibile renderlo operativo. Le batterie di emergenza avevano una durata di dieci ore, e quindi il Modulo di Comando sarebbe ritornato utile solo nella fase di rientro nell’atmosfera.

Ci fu inoltre, un certo timore per le temperature ridotte durante il ritorno, che avrebbero potuto produrre condensa e conseguentemente danneggiare l’elettronica del modulo di comando, ma l’apparecchiatura fortunatamente, funzionò  anche in quelle circostanze impreviste.

Successivamente fu notato che l’equipaggio era stato molto fortunato nell’aver avuto il problema all’inizio della missione, questo perché gli astronauti poterono contare sul massimo dei rifornimenti, delle attrezzature e dell’alimentazione da usare in caso di emergenza. Infatti, se l’esplosione del serbatoio si fosse verificato nella fase di ritorno, molto probabilmente non si sarebbero mai salvati, soprattutto perché non avrebbero avuto la possibilità di usare il Modulo Lunare.

Atterraggio e Recupero

Solo poco prima della fine della missione, gli astronauti fecero ritorno nella capsula dell’Apollo, che fu separata dal modulo di servizio, gravemente danneggiato. Come ulteriore misura di sicurezza il punto di rientro nell’atmosfera venne scelto in maniera tale da raggiungere una posizione dell’Oceano Pacifico in cui l’acqua aveva una grande profondità.

Il 17 aprile 1970 dopo una lunga ansia a causa della prolungata interruzione del contatto via radio durante la fase di rientro (di norma tale fase non superava i 3 minuti – per l’Apollo 13 durò oltre 6 minuti), alle ore 13:07, l’Apollo 13 fece il suo tuffo sano e salvo nelle acque dell’Oceano Pacifico. L’equipaggio venne recuperato e portato a bordo della portaerei USS Iwo Jima.

Dopo questa missione, ci fu una lunga indagine sulle cause dell’incidente, e la navicella Apollo venne modificata per evitare lo stesso problema in seguito. La lezione impartita dall’incidente dell’Apollo 13 è ancora oggi un monito per ogni programma spaziale.

Tags: Apollo 13LunaMissioni ApolloMissioni SpazialiNASASpazio
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